venerdì 1 agosto 2014
​Bengasi sarebbe in mano agli islamisti. Oltre 200 i morti. Distrutto l'aeroporto di Tripoli, fuga in massa degli stranieri tra cui 13mila filippini
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Sono giorni di caos in Libia. Combattimenti, morti, feriti, migliaia in fuga. È salito ad almeno 214 morti e 981 feriti il bilancio delle vittime degli scontri nelle ultime settimane a Tripoli e Bengasi. Lo riferisce il ministero della Salute libico. In particolare a Tripoli sono morte 102 persone, 77 a Bengasi, 35 a Marj. Le stime del ministero si basano sui dati forniti dagli ospedali cittadini. La difficile situazione si ripercuote anche sulla vita politica della novella democrazia. La nuova Camera dei Rappresentanti libica, eletta il 25 giugno, si insedierà molto probabilmente domani, sabato, a Tobruk, e non il 4 agosto a Tripoli come chiesto ancora ieri dal Congresso nazionale uscente. Il primo ministro ad interim, Abdullah al Thani, si trova nella vicina al Bayda "per seguire i preparativi per l'incontro della Camera dei rappresentanti sabato a Tobruk", si legge sul profilo Facebook del ministero dell'interno citato dal Libya Herald. Il dipartimento di sicurezza della città, che si trova a 500 km a est di Bengasi, sta lavorando inoltre alla sicurezza della prima seduta, mentre - si legge sui social network - sarebbero più di 100 i deputati già arrivati a Tobruk, numero legale richiesto dalla Costituzione per la prima seduta. Inizialmente il passaggio dei poteri era previsto il 4 agosto a Bengasi, ma le violenze nel capoluogo della Cirenaica hanno imposto lo spostamento della sessione. E proprio da Bengasi è arrivato ieri sera l'annuncio dei jihadisti di Ansar al Sharia in Libia, che ci proietta direttamente in Iraq e Siria: "Bengasi è sotto il nostro pieno controllo. Abbiamo proclamato l'emirato islamico". A riportarla la tv emiratina Al Arabiya, che ha citato un portavoce del gruppo legato ad Al Qaida. La notizia è "ancora tutta da verificare" - ha detto però il ministro degli Esteri Federica Mogherini in audizione al Senato - ma fotografa il disastro in cui è ormai precipitata la Libia del dopo-Gheddafi. "È una menzogna", ha replicato Khalifa Haftar, il generale dissidente che da aprile tenta di "ripulire" la Cirenaica dalle milizie islamiste: "Ci siamo solo ritirati temporaneamente da alcune posizioni", ha detto mentre media arabi riferiscono che si sia rifugiato in Egitto con la famiglia: una "tattica", avrebbe sostenuto lo stesso generale, in vista di "una grande controffensiva". La Libia sta rischiando una nuova "sanguinosa guerra civile", ha avvertito la titolare della Farnesina. E non solo in quella che fu, appena tre anni e mezzo fa, la culla della rivoluzione contro Muammar Gheddafi: anche a Tripoli, dove sono ripresi gli scontri tra le milizie filo-islamiste di Misurata e quelle di Zintan per il controllo dell'aeroporto internazionale, dopo una breve tregua per spegnere l'incendio divampato in due depostiti di carburante centrati domenica da un razzo. Con lo scalo nel caos, i servizi di sicurezza dei paesi vicini - Tunisia, Algeria e Marocco - hanno lanciato un allarme per possibili attentati sulle loro città con gli aerei civili in mano alle milizie armate, tanto da far innalzare lo stato di allerta in diversi aeroporti internazionali. Secondo fonti italiane, gli 8-10 aerei presenti nello scalo sarebbero però stati danneggiati nei combattimenti e non più in grado di volare. Inoltre, "l'aeroporto di Tripoli è ormai distrutto", ha reso noto Mogherini. E intanto continua la fuga in massa dalla Libia. Alla frontiera tunisina di Ras Jedir si tornano a vedere - come nel 2011 - migliaia di persone (libici, ma anche egiziani) in fila per attraversarla, mentre traghetti e navi da guerra stanno portando via 200 greci e 13mila filippini, così come centinaia di cinesi sono partiti via mare verso Malta. In queste ore anche la delegazione europea ha deciso di lasciare Tripoli per la Tunisia. L'ambasciata italiana "è tra le pochissime rimaste aperte, insieme a quelle di Regno Unito, Malta, Romania e Ungheria. Quella della Spagna è senza personale diplomatico ma ancora aperta", ha detto Mogherini, ringraziando l'ambasciatore Giuseppe Buccino che "in queste ore sta avendo incontri riservati con tutti gli attori locali nel tentativo di evitare ulteriori violenze". "Restiamo in Libia per tentare di avere un ruolo su alcune delle questioni geopolitiche più importanti dei prossimi anni: pace, sicurezza e immigrazione", ha affermato anche il premier Matteo Renzi, che sabato sarà al Cairo per discutere delle crisi libica e nell'intera regione. Dopo i trasferimenti protetti dei giorni scorsi, a oggi sono ancora 241 gli italiani presenti in Libia: 144 in Tripolitania, 64 in Cirenaica, 33 nel Fezzan, più 45 tra personale dell'ambasciata e istituzionale. "Da ieri siamo impegnati a contattarli uno per uno per offrire la possibilità di rientrare in Italia", ha spiegato Mogherini. Ci sono inoltre 830 italiani residenti stabili "di cui l'80% con doppia cittadinanza che si presume sceglieranno di restare", come fecero nel 2011.
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