Vacilla anche il trono di Gheddafi. Al governo dal 1969, il colonnello risulta essere il più longevo tra i suoi pari arabi, con la sola eccezione del sultano Qabus dell’Oman. La «Guida della rivoluzione» aveva tradito un forte nervosismo assistendo al crollo di due dei suoi vicini diretti. Si era pure lasciato andare, quando era apparso chiaro che il rais tunisino avesse deciso di abbandonare il Paese, a un commento inequivocabile: «Non c’era persona migliore di Ben Ali per governare. La Tunisia ora vive nella paura». Anche durante i giorni decisivi della rivolta egiziana è rimasto costantemente in contatto telefonico con Muburak per «discutere degli sviluppi in corso in Egitto». Ora toccherà a lui far fronte alle manifestazioni di piazza convocate per oggi dalla Conferenza nazionale dell’opposizione libica, la piattaforma che raggruppa le principali formazioni critiche del regime. Una data scelta con cura, visto che il 17 febbraio ricorre l’anniversario dell’Intifada scoppiata a Bengasi nel 2006. D’altra parte, gli ingredienti per una rivolta ci sono tutti nella «Repubblica delle masse»: regime autoritario, violazioni dei diritti umani, repressione sistematica di ogni forma di dissenso politico, controllo della stampa, ricorso ai tribunali segreti, pratica della tortura contro oppositori e rifugiati, corruzione diffusa. Senza parlare della volontà di trasformare la Jamahiriya in repubblica ereditaria affidata al figlio Saif al-Islam. In tutto questo l’Europa – e in particolar modo l’Italia – ha molte responsabilità. I ripetuti ricatti libici sul nostro Paese riguardo l’immigrazione clandestina o il passato coloniale fascista hanno finito per conferire alle stravaganze di Gheddafi carta bianca in cambio dell’apertura all’Italia dei cantieri libici. E il colonnello non aspettava altro per tenere, senza disturbo, le sue lezioni sull’islam nel cuore di Roma davanti a un pubblico strettamente femminile. Non meglio si è comportata la comunità internazionale favorendo la cosiddetta «soluzione libica»: un cambio di rotta politica attuato in maniera morbida, con l’abbandono delle ambizioni nucleari e la fine del sostegno ai movimenti islamici radicali di mezzo mondo in cambio della revoca, nel 1999, dell’embargo economico internazionale motivato dal caso Lockerbie, e la risoluzione 748 dell’Onu con cui la Libia è stata depennata dalla lista degli Stati canaglia.