giovedì 8 luglio 2010
Il cardinale Ortega annuncia: «Cinque rilasciati nelle prossime ore». Entro tre mesi gli alti. Ma tutti i dissidenti saranno trasferiti all'estero.
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Per tutto il giorno, Cuba è rimasta col fiato sospeso. Le dichiarazioni di martedì del Ministro degli Esteri spagnolo Moratinos avevano alimentato le speranze della dissidenza. Il politico si era detto «ottimista» circa il «buon esito» della visita. E aveva lasciato intendere che non sarebbe partito dall’isola a mani vuote. Dato che la sua visita terminava nella notte di ieri, la “prova dei fatti” sembrava imminente. Ad aumentare l’ansia generale avevano contribuito le parole di Elizardo Sanchez, storico oppositore. Sanchez aveva raccontato che una quarantina di detenuti politici era stata sottoposta a controlli medici, interrogatori e insolite fotografie. Fatto che poteva far presupporre una liberazione imminente. Anche se, lo stesso Sanchez, aveva puntualizzato: «A Cuba un gesto del genere può significare tutto o niente». Per questo, l’opposizione si è chiusa in un cauto riserbo. Fino all’annuncio ufficiale apparso sul sito dell’arcivescovado dell’Avana, a mezzogiorno (ora locale, nella tarda serata italiana). «Nelle prossime ore – si legge – sei prigionieri saranno trasferiti in carceri situate nelle loro province di residenza e altri cinque saranno messi in libertà e potranno partire presto per la Spagna insieme alle loro famiglie». Il documento ha comunicato anche la scarcerazione, nei prossimi tre o quattro mesi, di 47 altri detenuti. In pratica, tutti i 52 dissidenti – in maggioranza intellettuali, giornalisti e artisti –, arrestati durante la “Primavera Negra” del 2003 e non ancora rilasciati, saranno presto in libertà. Anche se dovranno lasciare il Paese. Un colpo di scena in parte previsto ma, comunque, storico. Lo stesso Fariñas – il reporter indipendente in sciopero della fame da 133 giorni – si era limitato a chiedere la scarcerazione dei 26 detenuti malati. A ottenere il “cambio di rotta” del regime è stata la Chiesa cubana che, da maggio, sta negoziando con Raul Castro. Non a caso, la notizia della liberazione di massa è stata comunicata al cardinale Jaime Ortega proprio dal presidente, dopo un incontro a quattro, a cui hanno partecipato anche Moratinos e il cancelliere cubano Bruno Rodriguez Parrilla.Un risultato importante per il ministro spagnolo, giunto a Cuba per «accompagnare» la mediazione della Chiesa. La liberazione rappresenta quel gesto «di buona volontà» che Madrid potrà utilizzare, a settembre, per convincere gli altri membri dell’Unione europea a non rinnovare la cosiddetta “Posizione comune”, un documento di condanna approvato nel 1996. Scettico, invece, Guillermo Fariñas. Raggiunta al telefono da Avvenire, la sua portavoce Licet Zamora, sulle prime esulta. «Non sapevo ancora niente». Poi, dopo una lunga chiamata al dissidente, ormai allo stremo, il suo tono si fa serio. «Guillermo non interromperà lo sciopero della fame e della sete – dice, con un velo di commozione –. Non si fida delle promesse dei Castro. Con questi cinque, i prigionieri liberati da maggio sono sei. Fariñas aveva chiesto almeno il rilascio dei 12 più prostrati... E non si fermerà fin quando non l’avrà ottenuto. È pronto a dare la sua vita per salvare la loro». Perplesse anche le “Damas de Blanco”, gruppo che riunisce madri e mogli dei dissidenti in carcere. La leader, Laura Pollan, ha attaccato nel suo blog la decisione di mandare all’estero i liberati. «Se ci saranno deportazioni forzate non si potrà parlare di passi avanti».
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