Ritorno alla normalità è l’emozione d’attraversare in taxi piazza Tahrir, dove abbiamo assistito per diciotto giorni al furore delle passioni, degli scontri e delle speranze di una folla immensa. È l’immergersi nel traffico caotico di una megalopoli che riprende a vivere a tutto clacson. Oppure uscire a tarda sera lungo il Nilo, dopo la clausura forzata in albergo a motivo del coprifuoco. Sensazioni fuggevoli perché, a dire il vero, la normalità è ancora lontana. La “rivoluzione dei giovani” ha vinto, scatenando l’inevitabile emulazione di tutti coloro che erano rimasti a guardare e adesso approfittano della libertà ritrovata per far sentire la loro voce.L’inizio dell’era post-Mubarak è segnato dal dilagare di scioperi e proteste. La scena più incredibile va in onda in tarda mattinata sulla piazza simbolo della rivolta. L’esercito è appena riuscito, con modi spicci ma non violenti, a smontare le tende e ad allontanare gli ultimi irriducibili militanti dell’opposizione che intendevano rimanervi ad oltranza, ed ecco che l’intera zona viene occupata da centinaia di agenti di polizia giunti in corteo dal vicino ministero degli Interni. Sono qui a chiedere scusa alla popolazione per non averla protetta dagli attacchi delle gang criminali dopo il 28 gennaio. «Noi e il popolo siamo una cosa sola!», gridano sventolando le bandiere nazionali. «Anche noi siamo stati maltrattati dal regime».Si lamentano tutti adesso. Sciopero dei mezzi pubblici. Chiuse le banche per protestare contro la corruzione delle alte sfere. Sit-in davanti all’università di al-Azhar, il centro teologico sunnita, e all’ospedale di al-Hussein dove il personale medico chiede migliori condizioni di lavoro e aumenti di stipendio. Agitazioni sindacali alla compagnia aerea Egyptair, il cui presidente ha dato ieri le dimissioni. E anche gli operatori turistici e i cammellieri delle piramidi di Giza (sì, proprio loro, gli autori il 1 febbraio della carica dei dromedari contro i giovani di piazza Tahrir) incrociano le braccia rivendicando salari più alti.«Così non si può andare avanti». Il monito arriva dai militari che hanno assunto il potere dopo la caduta di Mubarak. Con un comunicato diffuso dalla Tv statale ieri pomeriggio, il Consiglio supremo delle Forze Armate esprime la sua grande preoccupazione per «gli scioperi e le proteste che stanno danneggiano fortemente il Paese». Questi fatti, dice con aria severa il portavoce militare dalla faccia di mastino, «creano il terreno per azioni illegali da parte di persone irresponsabili» che, fa capire chiaramente, non saranno più tollerate. «L’esercito chiede di sospendere ogni manifestazione di protesta fino a quando l’autorità non verrà trasferita ad un governo democraticamente eletto». La dura presa di posizione dei generali che si sono auto-nominati garanti della transizione democratica, fa seguito alla “Dichiarazione costituzionale” diffusa domenica dal Consiglio supremo militare. Si tratta di nove punti coi quali l’esercito annuncia la sospensione della Costituzione, lo scioglimento del parlamento e la nascita di una commissione per gli emendamenti costituzionali che verranno sottoposti a referendum.L’opposizione è divisa: c’è chi, come el-Baradei, chiede libertà di costituire partiti politici fin da subito e chi, come il leader del par- tito liberale el-Ghad, Ayman Nour, è in totale sintonia con i militari, i quali si sforzano di dialogare con il “partito dei giovani”. Un gruppo d’attivisti e di blogger che avevano dato inizio alla rivolta del 25 gennaio si è incontrato domenica con alti ufficiali dell’esercito, ottenendo la promessa di libere elezioni tra sei mesi.Un gesto impensabile fino a pochi giorni fa, quando comandava Mubarak. Secondo quanto riferiscono alcuni giornali egiziani il rais sta molto male, soffre di depressione e rifiuta le cure. Del presidente- Faraone qui ne parlano tutti al passato. Al potere adesso c’è una Sfinge che si chiama esercito. Piazza Tahrir ricolma di folla nei giorni scorsi