È senza alcun dubbio un’immagine dalla forte potenza evocativa quella impiegata da Papa Francesco durante il suo viaggio di ritorno dalla Corea di una «Terza guerra mondiale combattuta a pezzetti», al punto da aver conquistato i titoli di testa in molti dei quotidiani in edicola ieri. Anche dal punto di vista concettuale, però, l’espressione è più che pregnante e, soprattutto, rimanda a due tendenze che concorrono a disegnare l’attuale fase del sistema internazionale: la prima rappresentata dal declino dell’ordine e della centralità occidentali, la seconda costituita dall’ascesa del mondo islamico come epicentro principale del disordine.
L’attuale stagione dell’ordine internazionale sta registrando ormai il pressoché totale esaurimento della sua fase ultima, quella realizzata attraverso i due conflitti mondiali e poi stabilizzata attraverso la Guerra fredda e l’equilibrio del terrore termonucleare sovietico-americano. Persino i decenni definiti come «post-Guerra fredda», e la temporanea egemonia americana sull’intero mondo globalizzato, sono in realtà stati l’estremo spin-off, un’ultima conseguenza, di quell’ordine novecentesco. Il «declino dell’ Occidente» implica il venire meno della centralità europea che negli ultimi tre secoli e mezzo si era progressivamente affermata, non solo e non tanto in nome di una logica 'imperialista', ma innanzitutto come stipite e centro regolativo del sistema. I due conflitti mondiali e la Guerra fredda segnano la sublimazione 'occidentale' di una centralità europea in via di esaurimento, che oggi è ormai esausta di fronte alla pressione del mondo. Non è un caso che l’istituzione che dalla logica dei conflitti intra-europei (mondializzati) è sorta - le Nazioni Unite - stia oggi attraversando una fase di crisi parallela a quella dell’ordine politico che l’aveva generata.
In questo progressivo vuoto di potere, che l’intermittente attivismo militare americano e il balbettante presenzialismo oratorio europeo a stento mimetizzano, altre regioni impongono le proprie divisioni e i propri conflitti al centro della ribalta. Tra le tante, quella maggiormente a rischio di dare avvio a un contagio molto peggiore di quello legato al virus dell’ebola, è la vasta regione in cui la religione islamica è maggioritaria o comunque dominante. Non è qualcosa che abbia a che vedere con il messaggio coranico in sé (ci mancherebbe altro) e neppure con presunte differenze di civilizzazione. Ma è un fatto che le divisioni che oggi rischiano di trascinare il mondo in una spirale di conflitti infiniti e selvaggi si trovano all’interno di quel mondo e nelle aree in cui esso insiste. Se nel 1914 ciò che fece deflagrare un sistema in cui gli imperi erano ancora una realtà (per quanto diversificata: l’impero britannico e quello russo, quello ottomano e quello asburgico, quello tedesco e l’impero coloniale francese) fu la scintilla del nazionalismo balcanico, oggi è il conflitto tra sciiti e sunniti, insieme alla fitna (la lacerazione) intra-sunnita, che tende a trascinare l’Occidente e il mondo in guerra. In altri termini, l’epicentro della 'Terza guerra mondiale' è oggi esterno all’Occidente e alle tradizionali rivalità tra grandi potenze, mentre è interno al mondo musulmano e contrassegnato dalla lotta per far emergere nuove forme di aggregazione politica diverse e ostili all’ordine fondato sulla statualità di matrice (e importazione/imposizione) occidentale.
È proprio la mutata natura degli attori che si propongono di sfidare le regole del declinante ordine occidentale a doverci inquietare maggiormente. Non sarà l’abborracciato e sanguinario califfato dello 'Stato islamico' a prendere il posto degli Stati sorti negli anni 30 del secolo scorso nel Levante. Probabilmente altre e più raffinate forme di aggregazione politica - meno escludenti e meno settarie, e invece più includenti e capaci di mobilitare estese risorse di lealtà politica e appartenenza come per secoli han fatto gli Stati di modello euro-occidentale - prenderanno il posto degli attuali Stati mediorientali e dello stesso neocaliffato. Ma resta il fatto che, in questa fase, lo zelo religioso che si serve della politica, che strumentalizza il potere politico a fini ultra-politici, sta infiammando quel mondo a partire dalle sue regioni più tradizionalmente instabili.Insisto su un fatto: pensare che al-Baghdadi e quelli come lui siano interessati al potere in sé e utilizzino la religione in maniera strumentale è fuorviante. È semmai vero l’esatto contrario. Dobbiamo abituarci a prendere molto sul serio i moventi religiosi dell’azione politica. Che poi l’interpretazione della religione islamica da parte dei tagliagole dell’Isis sia 'una' delle tante possibili, oltre che essere ragionevolmente la peggiore, è un altro paio di maniche. È questo che sta trasformando la differenza tra sciiti e sunniti (che esiste da circa 1.300 anni) in un 'conflitto': interno al mondo islamico, ma capace di coinvolgere tutti nel suo divampare. E di questo occorre ringraziare tutti quelli che nell’area, in tempi e modi diversi, hanno concorso a 'infiammare' il discorso religioso attraverso la sua declinazione 'zelota', saturando il discorso politico di riferimenti religiosi fondamentalisti: i sauditi, i qatarini e le varie monarchie sunnite del Golfo, certo; ma anche la Repubblica islamica dell’Iran che resta l’esempio realizzato di teocrazia contemporanea, e persino lo Stato di Israele, ancora laico eppure sempre più confessionalizzato.