Tutti in Siria. A mettere insieme segnalazioni dei servizi segreti, indiscrezioni della stampa internazionale e ora anche episodi verificati e confermati da fonti attendibili, parrebbe che nel Paese mediorientale squassato da 23 mesi di conflitto civile stiano arrivando proprio tutti: se in principio la guerra è stata combattuta da forze governative fedeli al presidente Bashar al-Assad contrapposte a un esercito misto di disertori e civili, insorti per rovesciare il regime di Damasco, ora, invece, gli schieramenti assomigliano a due legioni straniere. Formate da jihadisti, mercenari, terroristi, agenti scelti, volontari provenienti da ogni dove. Mentre la popolazione siriana cerca riparo altrove (secondo stime delle Nazioni Unite, i profughi potrebbero raggiungere il milione entro il primo semestre di quest’anno,
ndr), un flusso continuo e incontrollato nutre le file dei combattenti dell’una e dell’altra parte, insieme agli armamenti più sofisticati. Così, nel secondo inverno della mattanza siriana lo stallo è totale. Solo il numero delle vittime cambia di giorno in giorno, avvicinandosi ormai a 70mila. La casa dei ribelli vede una scomoda coabitazione fra due anime: una, per così dire, laica, che gode del sostegno occidentale e che viene rappresentata politicamente dalla Coalizione nazionale, seppur con grandi difficoltà; l’altra, schiettamente confessionale, piombata come un avvoltoio sulla carcassa siriana nella speranza di trasformarla in un califfato sunnita. Membri di questo gruppo sono gli uomini del Jabhat al-Nusra li ahl al-Sham (Fronte di supporto alla gente della Siria), che al momento controllano l’aeroporto internazionale di Aleppo e avanzano nel Nord. Fra gli integralisti sunniti spiccano i volontari nordafricani, venuti alla luce del sole durante la Primavera araba. Tunisini in primis. Poi ci sono gli abboccamenti fra servizi israeliani e insorti laici per operazioni congiunte nell’area del Golan (ieri bombardata dall’aviazione di Damasco). E chissà quanti fra informatori, agenti operativi e unità scelte turchi, sauditi, qatarioti, americani, britannici ed europei in genere sono già sul campo dalla parte dei rivoluzionari. Gli ufficiali scelti iraniani, invece, sono in prima linea al fianco dei lealisti di Assad. Così anche gli hezbollah libanesi. Una guerra sempre meno siriana e sempre più globale, combattuta da un’autentica “Legione straniera” come dimostrano i passaporti “esotici” di numerosi cadaveri. La partita a scacchi che coinvolge l’intero territorio è logorante: un tira e molla macabro a Idlib, Deraa, Hama, Homs e nei dintorni della capitale. Il fenomeno emergente delle ultime settimane è quello dei sequestri di civili, 300 negli ultimi due giorni. Gli attivisti siriani invitano gli oppositori all’estero a tornare in Siria proprio per occupare le zone liberate e cominciare a guardare avanti, ma lo stallo più grave è quello politico: gli oppositori sono divisi, chi aperto al dialogo, almeno con coloro che non si sono macchiati di sangue, chi oltranzista. Quanto al rais, dato ancora per presente nella capitale, ma in movimento da un rifugio all’altro per paura di essere individuato o tradito, lo stato d’animo è reso efficacemente dalla seguente dichiarazione: «Non sono un burattino, devo vivere e morire in Siria» (intervista alla tv di Stato russa dell’8 novembre 2012,
ndr). E almeno una volta a settimana il ministero degli Esteri russo si fa portavoce della sua volontà incrollabile di non mollare. Eppure, la stampa sudamericana solleva il velo su un possibile esilio dorato da quelle parti. Solo la partenza – o la dipartita – dell’impassibile Bashar al-Assad, a questo punto, potrebbe mettere fine al buco nero siriano. Catalizzatore maledetto di appetiti internazionali.