L’ennesimo segno dell’orrore, l’ennesima dimostrazione di una ferocia che alle parole unisce, purtroppo, i fatti. E che non risparmia, nel suo delirio, nemmeno l’età dell’innocenza.
Quaranta bambini della minoranza yazidi sono stati uccisi nell’attacco dei jihadisti nella regione settentrionale irachena di Sinjar e altri 25mila bambini rifugiati nelle montagne hanno un disperato bisogno di assistenza umanitaria. La denuncia è giunta ieri dall’Unicef, secondo cui i bimbi sono morti «per conseguenza diretta delle violenze, dello sfollamento e della disidratazione negli ultimi due giorni». Si aggiunge così un altro delitto grave a carico dei capi dello Stato islamico che non potranno essere scagionati dall’accusa di crimini contro l’umanità «per mancanza di prove». Le prove le stanno offrendo loro spontaneamente ogni giorno, non senza un’abietta fierezza, sui social network. È ben documentata la distruzione a suon di tritolo o con i bulldozer di decine di santuari e mausolei delle diverse fedi religiose, ma ben documentate sono soprattutto le atrocità commesse contro l’uomo. Un lungo elenco che va dalle decapitazioni alle crocifissioni, dalle lapidazioni alle amputazioni, e dalle flagellazioni alle altre torture eseguite nel nome di Allah. Il tutto di fronte a un pubblico costretto ad assistere alle brutalità.
Nelle ultime settimane vi è stato un flusso costante di foto e videoclip pubblicati dai jihadisti con lo scopo di incutere timore, ma anche di dimostrare la loro precisa applicazione della sharia. Il mondo intero ha potuto così assistere all’oscurantismo in cui sono precipitati i territori dell’Isis: prigionieri caricati come bestie per essere trucidati senza pietà, teste impalate ed esibite come trofei, soldati sgozzati perché arruolatisi nell’esercito «safavide», e altri orrori ancora. Un video caricato su YouTube mostra il sequestro, nel cuore della notte, di un capo tribale iracheno filo-governativo insieme con due figli. Le riprese successive ci mostrano i tre malcapitati intenti a scavare una fossa nella sabbia. Il padre appare abbattuto e lancia maledizioni al premier Nuri al-Maliki per avere provocato la sua fine. Ha già capito che sta scavando la propria tomba e che da lì a poco, come ci fanno vedere i cruenti scatti di un altro sito, lui e i suoi figli saranno decapitati e gettati in quella stessa fossa. Altrettanto orrende le numerose foto «souvenir» di jihadisti che vorrebbero esibire i loro «exploit». Una di esse mostra quattro terroristi accovacciati vicino al corpo di un militare disteso per terra, con la testa mozzata poggiata sulla propria schiena. «Foto commemorativa», recita la scritta. «La festa (lo Eid al-Fitr da poco finito, ndr) è più bella sopra i cadaveri di alauiti e sciiti». Agghiacciante anche la documentazione relativa a due recenti lapidazioni ordinate dal Califfato in Siria. La prima, avvenuta dopo la preghiera della sera del 17 luglio in un mercato di Tabqa, ai danni di una donna di 26 anni. La seconda, la sera dopo nella piazza adiacente lo stadio di Raqqa.