«A causa dei conflitti in corso, il 2014 comincerà in modo complicato per l’Africa. Ma nelle orecchie della nuova generazione, risuona pure la lezione di Nelson Mandela, quella del perdono anche quando tutto sembra disperato». Alfiere storico del panafricanismo e già alla guida dell’Organizzazione dell’unità africana (Oua), il togolese Edem Kodjo, classe 1938, si è ufficialmente ritirato dalla vita politica e diplomatica. Ma il suo impegno per l’Africa continua, soprattutto grazie alla fondazione “Pax Africana”.Perché le immani risorse africane non assicurano ancora uno sviluppo armonico? Certamente, paghiamo alcuni errori. Penso allo scandalo di quei Paesi dove la scoperta del petrolio ha spinto ad abbandonare l’agricoltura. L’economia africana deve reggersi su due piedi e uno è l’agricoltura. Quanto ai giacimenti, è giunto il tempo di contratti più equi, dato che finora le grandi potenze hanno imposto ritmo e metodo talora in modo sovrano. Le competenze tecnologiche occidentali restano indispensabili, ma spero che le prime iniziative in corso per debellare le pratiche del passato, compresa la corruzione massiccia, aprano una nuova era di condivisione. Fra politici e addetti ai lavori, c’è sempre chi addita la crescita demografica. Nel continente sono in atto politiche, finanziate a livello internazionale, che applicano concetti come la «salute riproduttiva »: cioè aborto, contraccezione, sterilizzazione. Che ne pensa? È una prospettiva malthusiana di controllo delle nascite che ignora alcuni valori africani centrali. E quando si trascura la cultura, s’ignora l’essenziale. Sarebbe assurdo tentare in Africa quanto si è visto in Cina. Lo sviluppo richiede politiche economiche equilibrate, senza focalizzarsi ciecamente sulla natalità, anche se è innegabile che essa rappresenta una sfida. Gli Stati africani sono abbastanza maturi per trovare i propri equilibri, senza far ricorso a soluzioni malthusiane prefabbricate e importate. I valori religiosi in generale possono contrastare mali diffusi come la corruzione o la violenza armata? Le religioni restano un baluardo. È vero tanto per i cristiani, quanto per i musulmani. È bene denunciare le derive fondamentaliste, ma senza dimenticare che le religioni sono ogni giorno essenziali al buon equilibrio del continente africano, dove restano molto radicate. Tentare di estirpare o relativizzare questa dimensione sarebbe disastroso. Il jihad recluta attivamente in Africa. Come lo spiega? In alcune regioni, contribuiscono la miseria e la disperazione. Ma in ogni caso, il fondamentalismo è sempre una forma di aggressione, dato che spinge verso opzioni assurde e di morte. Resta una sfida che l’Africa non può sottovalutare. Cosa prova di fronte ai barconi della disperazione in rotta verso l’Europa? Un’infinita tristezza. Ogni volta è una disfatta. Questa gente ha spesso un’immagine dell’Europa falsata da televisione e cinema. Senza formazione e studi, in realtà, non ci sono possibilità di successo. Ma l’Europa non risolverà il problema con la repressione o chiudendosi come un fortino. Occorrono più flessibilità e umanità.La sua fondazione si batte per la pace in Africa. Ma nuovi focolai insanguinano il continente… Quanto accade nella Repubblica Centrafricana o nel Sud Sudan mi sorprende. Non credevo possibili tali esplosioni in simili contesti. Nel Sud Sudan, l’indipendenza sembrava aver corretto i drammi del passato. Ma al contempo, vorrei ricordare che l’Africa è un continente gigante. Attorno a questi conflitti drammatici, tanti Paesi continuano ogni giorno a crescere e sperare. In passato, abbiamo sormontato guerre particolarmente cruente, come in Liberia o in Sierra Leone. Anche oggi, l’Africa ce la farà.
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