venerdì 29 aprile 2016
I frigo vuoti obbligano ad acrobazie alimentari. «Abbiamo toccato il fondo. Se non ci ammazza il caldo, lo fa la fame, se non ci ammazza la fame ci penserà un'infezione, visto che non ci sono medicine».
Venezuela, la vita ai tempi della crisi nera
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L’acqua che esce dal rubinetto è gialla. Quando esce. Perché durante i tagli di elettricità, dalle quattro alle otto ore al giorno fra i blackout programmati e gli “apagones” che semplicemente capitano, la pompa dell’edificio non funziona e la casa di Michelle Hardy, come quelle di milioni di abitanti di Caracas e provincia, rimane all’asciutto. «E al buio, e al caldo», spiega Michelle, 40 anni. «E quando uno dei Paesi più violenti al mondo si ritrova al buio, non resta che chiudersi a chiave e raccomandarsi a Dio». A Michelle non piace lamentarsi. A Caracas è tornata “quasi” per scelta nel 2015 dopo una dozzina d’anni di peregrinazioni che l’hanno portata in Italia (Paese d’origine del marito), negli Stati Uniti e a Panama. Nella capitale venezuelana era rimasta la madre, e, dopo la morte di Hugo Chávez, Michelle e consorte l’hanno raggiunta nella speranza di aiutarla, di contribuire alla ricostruzione del Paese e di dare qualche radice ai loro due figli «che non sapevano mai dire da dove venivano». Michelle non è ancora pronta a dichiarare quel passo un errore, ma la sua fiducia che il Venezuela possa rialzarsi dal baratro di caos dove è sprofondato è morta da un pezzo. «Quando siamo rientrati avevamo paura – racconta ad Avvenire – ma ci dicevamo che il Venezuela non è Cuba, che non saremmo mai arrivati a queste umiliazioni. Invece eccoci qui». 

“Qui”, sono le serate torride passate a sventolare con un cartone i suoi bambini di 11 e 5 anni perché possano addormentarsi. Sono le ore in fila (file lunghe venti isolati, enfatizza) perché un supermercato ha ricevuto un camion di latte in polvere e se ne può comprare un cartone per famiglia. Sono il terrore di uscire in auto e di vedersi accostati da motociclisti armati, uno per lato, e di dover mollare tutto e fuggire a piedi. Sono le nottate passate a bollire acqua, «anche quella per lavarsi i denti» perché aumentano i casi di setticemia. «L’altro giorno sono uscita a piedi. Aveva piovuto, le strade erano allagate, i semafori spenti, il metrò chiuso e invaso di ragazzi con la pistola nei pantaloni. E mi sono detta: che cosa aspettano quelli del reality Survivor a venire a Caracas? Lo scenario è perfetto!». Il senso dell’umorismo aiuta, ma la disperazione cresce nella capitale. In queste ore la gente si è messa in fila non solo per il cibo e per le cisterne di acqua, ma anche per firmare una petizione, organizzata dall’opposizione, e indire un referendum contro il presidente Nicolás Maduro. Gli assembramenti hanno provocato incidenti, con vetrine rotte, negozi saccheggiati, auto bruciate, pestaggi. «Dove non si sa nemmeno più chi è con Maduro e chi contro, dove c’è violenza e basta», continua Michelle che, dopo un sospiro, si lascia andare suo malgrado all’amarezza: «Abbiamo toc- cato il fondo – dice –. Se non ci ammazza il caldo, ci ammazza la fame, se non ci ammazza la fame ci penserà un’infezione, visto che gli ospedali mandano a casa i pazienti e non ci sono medicine. O un proiettile, di un poliziotto o di un adolescente». Le scuole in teoria sono aperte, ma sono più i giorni in cui le lezioni sono sospese di quelli in cui gli studenti entrano in classe. «Il che è quasi meglio, almeno non devo portarli fuori», dice Michelle.  

A casa, i bambini danno una mano. Hanno imparato che, quando va via la luce, bisogna correre a staccare tutti gli elettrodomestici, altrimenti quando ritorna improvvisamente l’elettricità si bruciano i contatti e non funzionano più. Hanno imparato ad andare in bagno armati di un secchio di acqua piovana. E hanno imparato a spendere i soldi che ricevono il più alla svelta possibile. «Gliel’abbiamo dovuto insegnare noi – sussurra Michelle – a non risparmiare, perché con l’inflazione che c’è, tenersi le paghette è come buttarle via. Meglio che si comprino un giocattolo o un libro. Quando li trovano». 
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