In una foto apparsa su molti
quotidiani turchi
Recep Tayyip Erdogan, affacciato dal balcone
del suo faraonico palazzo presidenziale ad Ankara, saluta il
popolo lontano centinaia di metri per celebrare la festa della
Repubblica. È l'istantanea di un uomo solo al comando intorno a
cui si decide il destino di un Paese intero.
La Turchia che questa domenica torna alle urne è chiamata ancora una
volta a un referendum su di lui. Perché anche se non è
candidato, al centro della scena c'è sempre il
'presidente-sultano'. Dopo che
a giugno il suo Akp non è
riuscito per la prima volta dal 2002 a ottenere una maggioranza
sufficiente a governare da solo, molti analisti suggerivano che
non avrebbe mai accettato una coalizione. Così è stato.
In questi cinque mesi,
la Turchia ha vissuto un'escalation di
violenza e tensioni come non accadeva da almeno vent'anni. Prima
la strage di Suruc, con 33 attivisti filo-curdi uccisi da un
kamikaze dell'Is (Isis). Poi l'esplosione del nuovo conflitto con il
Pkk curdo, con oltre 150 soldati e duemila guerriglieri morti e
il sud-est del Paese in stato d'assedio tra bombe e coprifuoco.
Fino alla
strage di Ankara, il più sanguinoso attentato
terroristico della storia turca ad appena 20 giorni dal voto.
Tutto questo mentre l'Europa guardava allarmata a
un Paese
trasformato nel crocevia del più grande afflusso di profughi
dalla Seconda guerra mondiale.
INTERVISTA «Noi cristiani? Chi può fugge. Chi resta ha paura»
È in questo clima che Erdogan ha chiesto ai turchi di
tornare a scegliere un governo monocolore dell'Akp che riporti
"la stabilità e la fiducia vissuta per 13 anni".
Al voto arriva
però
un Paese sempre più spaccato. "Siamo a un bivio. La Turchia
andrà verso un sistema di potere con un uomo solo e un regime
oppressivo e dittatoriale oppure andrà verso la strada che porta
alla democrazia", dice nel suo ultimo appello
Selahattin
Demirtas, il leader del partito filo-curdo Hdp che entrando a
giugno in parlamento ha sconvolto i piani di Erdogan. Se, come
indicano tutti i sondaggi, anche stavolta riuscirà a superare la
soglia di sbarramento-monstre al 10%, le chance dell'Akp di
tornare a governare da solo saranno scarse.
Dopo lo schiaffo di giugno, quando
il presidente puntava a
una maggioranza dei 2/3 per introdurre un presidenzialismo forte
sotto la sua guida, le previsioni indicano che pochi elettori
hanno cambiato idea.
Il suo Akp, guidato da Ahmet Davutoglu, è
accreditato tra il 39 e il 43%, il socialdemocratico Chp di
Kemal Kilicdaroglu è stimato al 25-28% e il nazionalista Mhp di
Devlet Bahceli al 13-15%. Più o meno, tutto come prima.
SCHEDA I numeri del voto e i partiti in lizza
Ma sul
voto
peserà l'incognita della sicurezza nel sud-est curdo, da
cui il governo avrebbe voluto spostare i seggi. Negli ultimi
giorni è arrivata anche l'ennesima stretta sulla stampa di
opposizione, con tv e giornali ostili a Erdogan e legati al suo
ex alleato Fethullah Gulen censurati e commissariati. Nelle urne
resta forte anche l'allarme brogli. Ogni voto peserà come un
macigno, perché come ha detto oggi il premier ad interim,
Davutoglu, la Turchia "non potrebbe tollerare una nuova
elezione".