Le loro vite appartengono ai trafficanti, che le costringono alla traversata nel deserto del Sahara e del Sahel e poi al viaggio sui gommoni nel Mediterraneo. Vengono vendute più volte, in vari passaggi di mano, subiscono violenze a ripetizione, sono costrette a prostituirsi una volta arrivate nelle città libiche dagli stessi trafficanti che vogliono che siano loro stesse a ripagarsi il “viaggio della speranza” fino all’Italia. Ma la speranza non c’è nel loro futuro. La loro è una tragedia nella tragedia.Nei grandi flussi migratori, in mezzo alle migliaia di persone che chiedono protezione umanitaria si annida l’orrore di queste donne, che passano dalla povertà del loro Paese di origine, allo sfruttamento sessuale sulle strade d’Europa, e vedono schiantarsi contro il muro della realtà tutte le promesse per un futuro migliore.Secondo i dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) le donne nigeriane arrivate in Italia al 30 giugno 2015 sono state 1.471, su un totale di 7.897 arrivi dalla Nigeria. L’anno scorso durante lo stesso periodo le donne erano solo 353 su un totale di 3.311 arrivi di migranti nigeriani (a fine 2014 le donne furono 1.454, su un totale di 9mila arrivi dalla Nigeria). L’aumento del flusso dalla Nigeria va di pari passo con l’aumento delle donne nigeriane che nei primi mesi del 2015 sono letteralmente quadruplicate; ma il racket oramai non fa più vittime soltanto nel Paese più popoloso dell’Africa, quello che detiene la leadership culturale ed economica del Continente nero, ma attinge anche dal Corno d’Africa e dall’Africa occidentale, in particolare Camerun e Mali.Nuove nazionalità, ma simili meccanismi di controllo da parte dei trafficanti che utilizzano le vie istituzionali dell’accoglienza per inserire le donne destinate alla tratta. «Questa sovrapposizione delle rotte è la nuova strategia dei trafficanti di vite umane» spiega suor Claudia Biondi, dell’Ordine delle Ausiliatrici delle Anime del Purgatorio, che dal 1994 si occupa del settore tratta e prostituzione di Caritas ambrosiana. «Hanno smesso di fabbricare documenti falsi, utilizzare visti turistici e pagare voli internazionali, riescono a fare entrare migliaia di donne attraverso i canali istituzionali dell’ospitalità per i richiedenti asilo. Una volta sbarcate, fanno domanda per l’asilo. Dopo aver ricevuto dalla Questura il cedolino – aggiunge la religiosa – e in attesa che la Commissione territoriale valuti la loro domanda di protezione, vengono sbattute in strada per ripagarsi il debito che hanno contratto per il viaggio». Si parla di circa 40mila euro, da restituire una volta in Italia. Una cifra che le ragazze neanche comprendono: pensano a 40mila
naire nigeriane, un valore di circa 180 euro, e accettano senza sapere a cosa vanno incontro. «Ricevono delle indicazioni precise su come svicolarsi dai Cara o dai Cie, lì la situazione è incontrollabile e i grandi numeri fanno il gioco dei trafficanti. Sono lasciate sole a se stesse, non sanno di poter denunciare chi le sta sfruttando – sottolinea suor Eugenia Bonetti, missionaria della Consolata, negli uffici centrali dell’Unione Superiore Maggiori d’Italia (Usmi), come responsabile del settore tratta donne e minori e nel 2012 ha fondato l’associazione
Slaves no more, che combatte il traffico di essere umani –. Serve una strategia per intercettare queste donne, fragili e devastate dalla traversata, direttamente al loro sbarco: sono necessari degli operatori formati che possano individuare le vittime del racket. Non possiamo lasciarle morire da sole in strada». Di fatto, però, quello che manca sono i servizi di identificazione delle vittime in frontiera. «In poche ore le ragazze vengono trasferite in autobus nei centri di prima accoglienza, dove possono essere raggiunte da connazionali già residenti in Italia che le fanno scomparire con la promessa di farle partire verso le città del Nord. Non sono sufficienti gli arresti degli scafisti, senza il pieno coinvolgimento degli attivisti, delle associazioni e degli operatori umanitari esperti in questo settore si rischia di farsi passare sotto il naso la tratta, che costituisce un fenomeno molto più pericoloso del semplice favoreggiamento dell’ingresso» denuncia il professor Fulvio Vassallo Paleologo. Per portare queste donne e i minori non accompagnati che vivono lo stesso incubo fuori dai meccanismi dello sfruttamento sessuale, si deve lavorare su percorsi di collaborazione: «La distinzione tra tratta di esseri umani (
trafficking) e traffico di persone (
smuggling) – ha spiegato il giurista palermitano da sempre impegnato nella tutela dei migranti – se è chiara dal punto di vista repressivo, dal punto di vista della sanzione penale degli autori dei correlati reati, appare sempre più sfumata nelle prassi applicate dalla polizia e dai nuclei interforze, e non aiuta a proteggere le vittime, alle quali si richiede immancabilmente la denuncia dei trafficanti, prima di fornire certezze sulla sistemazione in un luogo protetto e su uno stato giuridico legale».