"Il primo terrorista è entrato
mentre stavamo pregando ed ha cominciato ad esplodere colpi con
una pistola gridando 'Allah u Akbar' (Dio è il più grande),
pochi secondi dopo è entrato il secondo brandendo un grosso
coltello da macellaio e ha iniziato a colpire chiunque avesse
davanti". Joseph Pasternak, uno dei sopravvissuti all'attacco
alla sinagoga del quartiere ortodosso sefardita di Har Nof a
Gerusalemme, lo racconta ancora con la voce terrorizzata. La
stessa paura e lo stesso sconcerto che appare negli occhi della
gente ancora riunita attorno al tempio ebraico in una marea di
polizia, mezzi di soccorso e agenti in borghese, mentre in cielo
ancora volteggiano gli elicotteri.
"Sono riuscito a scendere le scale e a rifugiarmi in cucina",
dice Pasternak, un religioso padre di otto figli. "Dopo
pochi minuti - aggiunge - ho cominciato a sentire le sirene e
gli spari della polizia all'esterno". "Una scena terrificante,
qualcosa che non avrei mai voluto vedere in una sinagoga",
confessa Mati Golditz, capo delle operazioni sul terreno di
Zaka, il servizio di emergenza composto da religiosi che si
occupa "dell'identificazione delle vittime dei disastri". E
Golditz, come dice lui stesso, ne ha viste molto di scene di
violenza.
Secondo il racconto di altri testimoni presenti sul posto,
alcune vittime avrebbero avuto parte degli arti amputati durante
l'assalto da parte dei due palestinesi originari di Jabal
Mukaber, un quartiere di Gerusalemme est. "Questa è una tragedia
per tutta l'umanità, anche per i terroristi: sono morti anche
loro, cosa pensavano di ottenere con questo terribile atto?",
sottolinea con foga David Osborne, un avvocato religioso che
risiede nel quartiere e frequenta abitualmente la sinagoga. "Ora
- esorta, e il tono della voce si fa più intenso - è necessario
che i leader di entrambe le parti cerchino di calmare la
situazione il più presto possibile". "Non possiamo accettare -
conclude scuotendo la testa - altro spargimento di sangue
innocente".
Per tutta la mattina la folla si è accalcata fuori dalla
sinagoga Kehinat Bnei Torah ed è stata trattenuta a stento dalla
polizia. Tra i molti anche un gruppo di giovani che ha chiesto
con insistenza le dimissioni del ministro della sicurezza
Yitzhak Aharonovich: "Perché oramai - ha detto uno di loro - non
ci sentiamo più sicuri nemmeno in sinagoga". Altri, infuriati e
pieni di rabbia, invocavano vendetta per le vittime al grido di
"morte agli arabi". Diversi membri del parlamento israeliano
sono arrivati sul posto per mostrare vicinanza alla comunità,
tra questi la parlamentare Miri Regev e il capogruppo del Likud
Danny Danon, che ha chiesto l'applicazione di "sanzioni
economiche e il ritiro dei permessi Vip" per tutti i membri
dell'Autorità palestinese.
Il portavoce della polizia Micky Rosenfeld, da parte sua, ha
tagliato corto: "In questo momento la situazione a Gerusalemme è
sotto controllo, abbiamo dispiegato agenti in borghese in tutta
la città".