L’attuale scenario geopolitico, su scala planetaria, è segnato da una crescente parcellizzazione di interessi che acuiscono la conflittualità. Per questa ragione, papa Francesco ha parlato – citando analisi sviluppate in questi anni – di una «Terza guerra mondiale» combattuta «a pezzi», sottolineando cioè il frazionamento delle ostilità in diverse aree geografiche. Poco importa che si tratti della crisi ucraina nella vecchia Europa o di quelle mediorientali, dietro le quinte di celano evidenti contrapposizioni tra modelli di civiltà in cui emerge una diversa concezione del mondo e della storia. La scesa in campo dei Paesi emergenti (Brics), in competizione con l’Occidente, unitamente allo strapotere delle oligarchie salafite negli Stati a maggioranza islamica, sono fenomeni che inibiscono quasi ogni azione politica protesa alla mondializzazione delle relazioni. In effetti – è la Storia ad insegnarlo – il tempo della civiltà umana non si è mai manifestato in modo lineare, ma ha sempre subito accelerazioni o brusche decelerazioni. Molti imperi hanno raggiunto picchi di fulgore per poi precipitare nell’oblio. Ma la variabile temporale, oggi più che mai, non può prescindere dal valore dell’interdipendenza. Se nel passato la caduta di un potere era seguita a ruota dall’affermazione di un altro più forte, la globalizzazione ha imposto un insieme di legami e rapporti economici, sociali e politici, tali per cui i comportamenti di una comunità o di un intero Paese hanno conseguenze su altri.L’idea di “interdipendenza” ha costituito idealmente un contributo importante per l’elaborazione di varie proposte di riforma del sistema internazionale, nel senso di rafforzarne i presupposti della pace e della prosperità globale. La prima formulazione coerente di questo principio emerse nel 1944 durante lo storico vertice di Bretton Woods, da cui nacquero quelle organizzazioni economiche internazionali (Banca Mondiale e Fondo Monetario Internazionale) che segnarono la via del riscatto e della ricostruzione dopo la seconda guerra mondiale. L’idea di “interdipendenza” si era sviluppata, allora, in alternativa a quella puramente “liberista”, basata sul diretto perseguimento dell’interesse nazionale indipendentemente dalla considerazione delle conseguenze su altri, e a quella “realista”, fondata sulla soluzione dei conflitti d’interesse imposta dai rapporti di forza e delle sfere d’influenza. Purtroppo sia la Guerra fredda, come anche la successiva radicalizzazione dei rapporti tra Oriente e Occidente dopo l’11 settembre del 2001, hanno vanificato la declinazione del principio di interdipendenza nelle politiche internazionali. Ecco perché sarebbe auspicabile che in questi tempi di crisi si trovasse il coraggio di attualizzare le conclusioni della Commissione indipendente sui problemi dello sviluppo internazionale, insediata dalle Nazioni Unite e presieduta dallo statista tedesco Willy Brandt, nell’ormai lontano 1978. Si tratta di una visione imperniata sull’interdipendenza, che costituisce ancora oggi un punto di riferimento ideale per tutti i governi, formulata allora in un rapporto che si apre con queste testuali parole: «È il mondo, oggi, a essere un’unica nazione».