Ore di angoscia per i 250 eritrei prigionieri di una banda di spietati trafficanti. Ottanta provenivano dalla Libia, gli altri dal Corno d’Africa. Con loro vi sarebbero anche sudanesi, etiopi e somali. Sono detenuti in condizioni atroci e inumane. Otto sono stati uccisi nel corso della prigionia, gli ultimi due – entrambi diaconi ortodossi – una settimana fa perché non avevano la possibilità di pagare gli 8mila dollari di riscatto. E di quattro persone si sono perse le tracce. Si ipotizza che siano state prese per prelevare loro un rene in cambio della libertà. Ieri un ragazzo in contatto con il sacerdote eritreo Mosè Zerai, che per primo ha lanciato un allarme, ha rivelato che una donna starebbe per partorire. Date le condizioni in cui si trova la donna, si teme per la sua vita e per quella del nascituro. Intanto gli attivisti dell’associazione Everyone, che segue la vicenda dall’inizio ed è anch’essa in contatto con gli ostaggi, ha diramato una nota sulla situazione. Anzitutto hanno ricordato il luogo di detenzione, già segnalato alle autorità egiziane e all’Acnur. «Sono incatenati – sostengono gli attivisti – mani e piedi, all’interno di alcuni container in un frutteto alla periferia di Rafah, accanto a una grande moschea e a una ex chiesa convertita in scuola, vicinissimi a un palazzo governativo egiziano, tant’è che i profughi possono vederlo». Hanno anche ribadito il nome del capobanda. Si tratta del beduino Abu Khaled, che vive vicino alla striscia di Gaza. L’uomo che avrebbe contatti con Hamas, è stato persino intervistato un anno fa dalla stampa britannica. Quanto alle condizioni dei prigionieri confermano che sono allo stremo. «Da alcuni giorni, dopo le uccisioni, gli stupri, le torture con ferri roventi, le estorsioni, ci stanno manifestando il proposito di togliersi la vita». I leader dell’associazione dovevano partire per Rafah, ma la missione è stata annullata. Volevano offrire supporto alle indagini, ma «tramite l’Ambasciata italiana a Il Cairo, ci è stato risposto che il governo egiziano non riconosce l’esistenza degli ostaggi e non è stato offerto il minimo sostegno alla missione. Ci è stato peraltro sconsigliato di recarci in Rafah, per una questione di sicurezza». Ieri, intanto, la polizia egiziana ha arrestato 15 migranti illegali mentre cercavano di entrare in Israele dal Sinai. Otto sono eritrei e sette etiopi. Sono stati trovati in due camion in marcia verso il confine con lo Stato ebraico. Si ignora se appartengano o meno al gruppo di prigioniero. Sul fronte diplomatico, ieri a Roma, l’ambasciatrice egiziana presso la Santa Sede, Aly Hamada Mekhemar, ha ricevuto don Mosé Zerai accompagnato da Savino Pezzotta, parlamentare dell’Udc e presidente del Cir, il Consiglio italiano per i rifugiati. «Abbiamo consegnato – spiega Pezzotta – all’ambasciatrice tutto quanto in nostro possesso per identificare il luogo dove sono detenuti in condizioni disumane. Lei ci ha garantito che farà il possibile per attivare il suo governo». Non vi sono garanzie sulla liberazione, però è stato posto un quesito importante che può essere uno spiraglio. «Ci ha chiesto se dovessero venire liberati chi se ne farà carico. Credo – ha concluso Pezzotta – che tocchi all’Ue tutta, Italia compresa».