Lo Stato islamico è figlio di una vera e propria tradizione fondamentalista che è sempre esistita nel mondo musulmano e che si combatte con la riforma dell’islam, impossibile senza la mobilitazione degli intellettuali. Ne è convinto il comboniano don Giuseppe Scattolin, professore di mistica islamica al Pisai e al Dar Comboni del Cairo, uno dei massimi esperti cattolici dell’islam.
Dall’Iraq alla Siria, ciò che terrorizza il mondo è un tipo di fondamentalismo tradizionale o un fenomeno diverso? Nell’islam storico c’è sempre stata una corrente di islam politico, conquistatore, estremista. Nel primo secolo di questa religione c’erano i kharigiti. Quel filone è proseguito sotto vari nomi, appellandosi a pensatori come Ibn Hanbal (III sec. Islamico/IX cristiano), Ibn Taymiyya ( VIII sec. islamico/XIV cristiano), fino all’ideologo dei Fratelli musulmani, Sayyid Qutb, giustiziato da Nasser nel ’66, ispiratore di tutte le correnti del fondamentalismo islamico contemporaneo. Lo scontro con l’Occidente «colonialista e imperialista» e con le diverse ideologie moderne che contraddicono la legge islamica (
sharia) ha portato tali movimenti al più feroce estremismo, ma sono sempre esistiti e costituiscono le radici delle formazioni terroriste che agiscono ora in Africa e nel Medio Oriente, e in altre parti del mondo islamico.
Si può disinnescare la miccia dello Stato islamico? Isis è uno dei tanti movimenti sorti sulla scia di quell’ideologia, come tutti gli altri movimenti jihadisti che si muovono sulla scena islamica, fra cui al-Qaeda. Il confronto con questa realtà non è esclusivamente militare: con le armi si potrà ottenere qualche successo e bloccare le stragi ma la radice va in profondità. L’Isis scaturisce dal problema della riforma dell’islam, e della sua legge in particolare, e quel problema sarà risolto quando l’islam accetterà alcuni dati della modernità. Nello scontro cui assistiamo c’è in particolare una responsabilità degli intellettuali musulmani: non sono riusciti a proporre un islam conciliato con la modernità e a creare una mentalità diversa, dove quei fondamentalismi non potessero attecchire. Del resto, noi europei, non dimentichiamolo, ci siamo liberati dalle varie ideologie totalitarie solo da una sessantina d’anni, nel dopoguerra…
L’Occidente si è entusiasmato per le primavere arabe. Cosa resta di quei sogni in Egitto? Il fenomeno è molto complesso e molte analisi sono fatte con presupposti ideologici, non sempre chiari. Vivendo in Egitto, posso dire che tali movimenti si sono scatenati come reazione a un regime totalitario (anzi, a molti regimi). Prima del 2011 c’erano state parecchie dimostrazioni ma è stata quella massiccia del 25 gennaio a sconvolgere tutto. L’esito non è stato quello atteso. Come sappiamo, nel 2012 i Fratelli musulmani sono arrivati al potere e hanno cercato di imporre una dittatura ideologica, e il 30 giugno 2013 la piazza li ha cacciati dal potere, affidando il Paese al generale al-Sisi. Ora siamo in attesa di vedere che le speranze della rivoluzione vengano attuate con riforme istituzionali. Insomma, l’Egitto è ancora in bilico. Nel complesso, però, la rivoluzione ha generato un coraggio e una franchezza inediti nel dibattito interno: ci sono condizioni ideali per lavorare sulla riforma dell’islam e spero che gli intellettuali egiziani non restino passivi come prima e aiutino il popolo a realizzare la sua “primavera” democratica.
Perché il dialogo con i Fratelli musulmani è fallito? Perché non si conosce a sufficienza né la storia islamica né quella dei Fratelli musulmani. Questo movimento ha chiari presupposti ideologici e scopi chiarissimi, che dichiara nei propri scritti senza molte metafore. L’attacco alle Torri gemelle del 2001 mostra che quei movimenti non si lasciano manipolare da interessi di politiche esterne, e chi ha pensato di farlo è stato ingenuo. L’instabilità del mondo musulmano, però, non è solo un problema egiziano: se ne esce solo – ripeto – con una seria riforma islamica. Che non è all’anno zero, sia chiaro. Molti studiosi cominciano a prendere in considerazione il fatto che l’islam ha bisogno di una riforma radicale a livello di shari’a, per andare incontro alle esigenze della mentalità moderna. Si discute di diritti umani, libertà di pensiero e di coscienza, ricerca scientifico-critica, ecc. Come scrivo dal 2005, senza un riforma profonda sarà difficile una convivenza pacifica con l’islam nel “villaggio globale umano”, né con altri tipi di fondamentalismi: è un processo lungo ma necessario se si vuole evitare una «Terza guerra mondiale», che per molti è già in corso.