Il calvario dei democratici newyorkesi si è consumato in uno spettrale cicaleccio, rotto da qualche boato di giubilo e subito precipitato in un generale sconforto. Siamo sulla 54ma ovest, in una calda serata di questa Indian Summer giunta prima del previsto, a quel party dei fan di Hillary Clinton che contavano su una rapida e smagliante vittoria, quella vittoria che lo Stato di New York da sempre garantisce ai democratici grazie al voto della grande metropoli, di Rochester, di Syracuse. Ma New York, con quell’Empire State Building addobbato dei colori blu-rosso-bianco, con le postazioni televisive orgogliosamente piantate nel cuore di Times Square, con quei cordoni di polizia e transenne che separavano il quartier generale dei due avversari era solo lo schermo di un’illusione che aveva contagiato l’America grazie soprattutto alla sordità e alla cecità di tutto l’universo dei media – dal New York Times al New Yorker, dal Wall Street Journal ai grandi settimanali, dalle tv ai blogger – che per mesi ha martellato implacabile sulla figura di Donald Trump in una rituale character assassination che avrebbe dovuto – l’intenzione era questa – distruggere la popolarità e la credibilità di quel candidato miliardario e insofferente ad ogni regola, ad ogni obbedienza, ad ogni convenzione.
«Tutto sbagliato – mormorava Abraham B., sorseggiando l’”Old Fascist”, un cocktail dal trasparente significato sardonicamente dedicato al “nemico” Trump – non abbiamo capito niente, non abbiamo voluto capire...». Piano piano il party festoso si tramutava in un’allucinata sorpresa. «It’s not over until it’s over» (non è finita finché non è finita), ripeteva qualcuno come un mantra. Per ironia, con un abbagliante ritardo concettuale, anche i grandi columnist come Paul Krugman improvvisamente si rendevano conto, nel crepitare di quel mitragliamento di numeri, di seggi, di preferenze che cominciava ad assegnare a Trump stati cruciali per la vittoria della Clinton come l’Ohio e il North Carolina, che l’America rurale, quella silenziosa e trascurata dai media, stava macinando la propria vendetta premiando un candidato invotabile come Donald Trump, non per fiducia nelle sue doti per rabbia e rancore nei confronti dell’amministrazione uscente, onorata e onorevole, certo, ma che ha reso più povera la classe media e più insicuri i posti di lavoro. La vendetta dei “blue collar” dell’Ohio somiglia da vicino a quella degli operai portuali di Calais, che al primo turno delle elezioni presidenziali del 2002 preferirono Jean Marie Le Pen a Lionel Jospin e da comunisti duri e puri si trasformarono in sordi reazionari impauriti da tutto, dall’insicurezza del domani e dalla prospettiva di perdere il lavoro.
«Qualunque cosa succeda – ha provato a dire Obama – domani il sole sorgerà». È notte fonda a New York. La città si sveglierà con un buco nel cuore.