Non è un sosia, né un parente, né un altro trucco del “Caro Leader”. Kim Yong Il – in visita ufficiale a Pechino da martedì fino a sabato – è il premier della Corea del Nord e dal suo capo di Stato, padrone supremo del Paese più isolazionista del pianeta, lo separa solo una consonante. Se ci sia anche qualche differenza di vedute è impossibile a dirsi: ai giornalisti è stato consentito solo un brevissimo giro di fotografie ufficiali ma nessuna domanda; poi il primo ministro si è eclissato per una serie di incontri ufficiali e cerimonie «per celebrare i 60 anni di amicizia tra Cina e Repubblica Democratica Popolare di Corea». Ma mentre le bandiere cinesi e nordcoreane garrivano insieme a piazza Tienanmen per la prima volta negli ultimi 20 anni, sull’incontro tra il premier cinese Wen Jiabao e il suo omologo nordcoreano si proiettava l’ombra lunga di Kim Jong Il, il “Caro Leader”. Il signore assoluto della Corea del Nord. «La situazione nella penisola coreana è piuttosto complicata – ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri cinese Qin Gang – e manifestiamo tutta la nostra preoccupazione». Al centro della spirale di tensioni in cui sono precipitate in questi giorni le due Coree – che hanno cessato le ostilità nel 1953, ma sono ancora tecnicamente in guerra – c’è il comunicato col quale a febbraio la Corea del Nord ha annunciato il lancio di un satellite entro i primi di aprile. Il satellite – Kwangmyongsong 2 – secondo Usa, Giappone e Corea del Sud non sarebbe altro che un missile Taepodong 2 riadattato e in grado di raggiungere le coste dell’Alaska. Il lancio violerebbe due risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite in un colpo solo e riporterebbe gli orologi indietro fino al 2006, quando la Corea del Nord effettuò un primo test missilistico diretto contro il Giappone (fallito) e dimostrò al mondo la sua capacità di produrre ordigni atomici. Da qui l’escalation degli ultimi giorni: il 10 marzo scorso Usa e Corea del Sud hanno iniziato una serie di esercitazioni militari congiunte, suscitando l’ira del Nord. Dalla capitale, Pyongyang, è partito subito l’ordine di lasciare il Paese entro fine marzo per le cinque Ong che lavorano nella cooperazione alimentare. Alla fine della scorsa settimana gli uomini di Kim Jong Il hanno poi bloccato l’accesso dei cugini del sud al parco industriale di Kaesong, un esperimento lanciato l’anno scorso in cui le imprese di Seul impiegavano operai nordcoreani. Martedì scorso, infine, Pyongyang ha fatto sapere che rimanderà al mittente qualsiasi aiuto alimentare proveniente dagli Usa, quando secondo le stime del Programma alimentare mondiale delle Nazioni Unite sono 9 milioni su un totale di 23 i nordcoreani ridotti alla fame. E mentre la Cina sembra tentare in tutti i modi di scoraggiare il suo scomodo alleato, si moltiplicano le ipotesi sullo stato di salute di Kim Jong Il, colpito da un attacco nell’agosto scorso: il lancio del missile-satellite aprirà la corsa alla successione? Dall’altro lato della barricata Stati Uniti, Giappone e Corea del Sud hanno intensificato i pattugliamenti. «Se dalla postazione di lancio dovesse partire un missile, saremo preparati a rispondere agli ordini del presidente » , ha dichiarato l’ammiraglio Timothy Keating, a capo delle forze Usa nel Pacifico. «Se si tratta di qualcosa di diverso dal lancio di un satellite, il nostro sistema è in grado di intercettarlo ». E se davvero il satellite impronunciabile è un missile nucleare travestito, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama avrà solo pochi minuti per decidere come rispondere. Sono nove milioni, secondo le stime dell’Onu, i nordcoreani che soffrono di denutrizione