Jehan Perera, è direttore del “Consiglio per la pace dello Sri Lanka”, cui si devono numerose iniziative di pace e di riconciliazione durante il conflitto.
La guerra è finita, la pace è possibile? La pace, forse, ma potrebbero passare anni prima di arrivare a una normalizzazione. Il governo manterrà una presenza militare consistente nella regione tamil per impedire un ritorno della guerriglia, ma probabilmente utilizzerà una combinazione di potere militare e di riforme politiche per recuperare un reale controllo sulle zone nordorientali del Paese. Le riforme potrebbero essere basate su quei punti della Costituzione che già prevedono l’autonomia ma che sono stati finora disattesi. Il governo dovrebbe anche lanciare grandi progetti di sviluppo con l’assistenza della comunità internazionale, inclusa l’India. La presenza di una massiccia popolazione rifugiata aggiungerà altri problemi e certamente non sarà di facile gestione in futuro.
Quale sarà il destino della popolazione tamil? I tamil si sentono oggi isolati, senza speranza. Nessuno sembra impegnarsi concretamente per loro. C’è grande preoccupazione che con la sconfitta militare delle Tigri saranno privati dei diritti per cui si sono sacrificati. La maggior parte dei singalesi hanno sostenuto il governo nell’impegno di sconfiggere le Tigri prima di cercare una concreta soluzione politica, tuttavia sono in tanti a sentire simpatia per la sorte della popolazione tamil. Ci sono due scenari possibili per il dopoguerra nella regione tamil. Il primo pone l’enfasi sui mezzi politici, il secondo sulla militarizzazione prolungata. Dal mio punto di vista, un allentamento della pressione militare farebbe capire alla popolazione che l’incubo del conflitto è finito e che si avvicina la rinascita. Indicherebbe anche che priorità del governo è il rientro dei tamil nei loro villaggi e non una vita disagiata nei campi.
La comunità internazionale finora è stata tenuta alla porta, ma quale sarà il suo ruolo futuro? Attualmente il governo è refrattario a ogni intervento di altri Paesi, in particolare quelli occidentali, che ritiene potrebbero – per interessi propri – sminuire la sua vittoria. Perciò ha cercato di limitare il coinvolgimento internazionale anche per ragioni umanitarie che avrebbero potuto fornire prove negative di quanto stava succedendo nell’area di conflitto e nel Paese. Come risultato di questo atteggiamento, però, non si è potuto finora provvedere in maniera adeguata alle necessità dei profughi e delle vittime del conflitto. Il governo ha anche limitato fortemente l’accesso ai campi a poche organizzazioni locali e internazionali, oltre che ai mezzi d’informazione.
Quali potrebbero essere i passi verso la riconciliazione? Sia le Tigri, sia le truppe governative hanno utilizzato la forza e la brutalità per imporsi. Quello che ora il Paese richiede è fiducia, generosità e concreta volontà di confronto tra le comunità. Nel cercare un equilibrio tra sicurezza nazionale e assistenza umanitaria si potrebbe prendere ad esempio la Colombia, dove sono stato di recente. Notevole, nell’esperienza colombiana, è che anche prima di sconfiggere la guerriglia, il Governo dimostra la volontà di parlare di smobilitazione e di reintegrazione degli oppositori combattenti, ma anche di coinvolgere la comunità internazionale nel processo di pace. Stefano Vecchia Jehan Perera