mercoledì 12 agosto 2009
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Ko Win Hlain, tra i leader della rivolta studentesca del 1988 è segretario aggiunto della Lega nazionale per la democrazia nelle Aree libere, ovvero in esilio.Cosa vi aspettavate dalla sentenza?Ci aspettavamo una condanna, ovviamente, ma temevamo anche che Aung San Suu Kyi venisse tenuta in stato di arresto senza alcuna accusa formale. È chiaro l’obiettivo di impedire una sua qualsiasi partecipazione alle elezioni del prossimo anno, cercando di evitare una dura reazione internazionale in vista dell’Assemblea generale Onu a settembre.  Qual è stata la prima reazione della popolazione?Di sgomento, ma anche di attesa. Sono certo che le reazioni ci saranno, ma con modalità che i birmani sapranno trovare al momento opportuno. Posso dire che la popolazione è terrorizzata dalla repressione e l’opposizione è molto debole per il duro e prolungato braccio di ferro con i militari. Arresti illegali e detenzioni, continui controlli, crisi sociale e crisi economica contribuiscono a creare un clima di paura e di incertezza. La maggioranza dei birmani vuole la libertà ma ha poca fiducia di poter combattere contro il governo, contro una parte del clero buddista che lo sostiene, contro i gruppi di fiancheggiatori che sono in buona parte 15mila ex criminali rimessi in libertà per fare il “lavoro sporco” in occasione delle proteste.Quale sarà ora il ruolo di Aung San Suu Kyi? Aung San Suu Kyi non è la sola a mantenere aperta la possibilità del cambiamento, ma è vero che molti leader studenteschi, sindacalisti e politici sono in carcere, oltre 2.000 e Suu Kyi resterà il principale riferimento della nostra lotta. A questo punto, il regime si avvia alle "sue " elezioni. Che cosa chiedono le opposizioni?Le nostre richieste sono chiare. La prima è che si attivi un vero dialogo tra noi e il governo. La seconda è che venga modificata la Costituzione approvata lo scorso anno con un referendum-farsa. La terza che si arrivi ad avere un Parlamento veramente rappresentativo. Nessuno chiede che i militari lascino il potere immediatamente, ma che almeno siano sinceri nella pretesa di volere guidare il paese, che da 47 anni vive sotto dittatura, verso una gestione civile e rappresentativa della realtà sociale ed etnica. Chiediamo anche che venga riconosciuto il risultato elettorale del 1990, quando il mio partito, la Lega nazionale per la democrazia, stravinse per ritrovarsi con una leadership in buona parte in carcere e un voto popolare annullato.Che cosa rende impossibile il dialogo?Intanto la repressione costante verso i gruppi dissidenti ma anche verso la maggioranza della popolazione. In secondo luogo la finzione che l’intero paese stia marciando compatto nel processo di riconciliazione nazionale e quindi non servono canali di dialogo con chi viene indicato come "nemico della nazione". Questo siamo noi per la giunta, in base a quattro accuse, abbondantemente utilizzate dalla propaganda ufficiale: di essere favorevoli alle sanzioni internazionali e quindi responsabili della crisi economica; di volere l’emarginazione delle forze armate; di sostenere il confronto duro con governo militare; di propugnare metodi di lotta violenta. Queste accuse tendono soprattutto a isolare Aung San Suu Kyi, che in realtà ha sempre negato di avere chiesto le sanzioni, l’esclusione dei militari dalla vita del paese, la lotta aperta contro il regime, in base ai principi non violenti in cui crede e in cui tutti noi crediamo.
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