I manifesti elettorali tappezzano le Ramblas. E, ogni giorno, l’agenda elettorale è fitta: non c’è che da scegliere. Stavolta, però, Barcellona non “palpita” come tre mesi fa per le Regionali, trasformate dai partiti nazionalisti in un plebiscito sull’indipendenza. Allora, in ogni caffè e ristorante, la secessione era oggetto di rumorose dispute dialettiche. Ora, invece, la metropoli e i suoi abitanti sembrano paralizzati in un clima di attesa. Come il loro Parlamento. La vittoria del fronte anti-Madrid il 27 settembre, con il 47,9%, non ha innescato l’attesa “separazione”. Le due forze del nazionalismo – Junts pel sí e Candidatura d’unitat popular (Cup) –, anzi, non sono riuscite nemmeno ad accordarsi per eleggere il capo del governo locale. Dopo lunghi tira e molla e due voti falliti in Aula, tutto tace, fino alle Politiche di domani, quando 5,5 milioni di catalani dovranno designare i rappresentanti nell’Assemblea nazionale.Chi sceglieranno? L’interrogativo è cruciale per due ragioni. Primo, perché – come spiega Jordi Mir García, politologo dell’Università Pompeu Fabre – il bottino di preferenze della popolosa Catalogna influisce in modo determinante sul risultato generale. Per la prima volta, inoltre, questo voto segna la “catalanizzazione” della Spagna. «Nella regione, non c’è mai stato un rigoroso bipartitismo. Nel Parlamento locale ci sono sempre state almeno 5 formazioni. Un’anticipazione di quello che, con queste elezioni, accadrà nel resto della nazione – afferma l’analista dell’Università Autonoma di Barcellona, Carlos Gómes Ribas – con l’irruzione sulla scena politica di Ciudadanos e Podemos». Forze, queste ultime, che hanno scompaginato anche gli equilibri consolidati a Barcellona e dintorni. Sebbene il gradimento dei partiti in gara salga o scenda, giorno dopo giorno, come un listino di borsa, la crisi delle due formazioni storicamente vincenti – Partido socialista de Cataluña (Psc), denominazione locale dei socialisti, e Convergencia i unió, la principale forza nazionalista – è evidente. Democracia e libertat, l’ultima versione di Convergencia, non figura nemmeno fra i primi quattro partiti: gli indipendentisti si sentono delusi dalla lentezza con cui procede la separazione promessa. «Anche i socialisti sono in crisi – aggiunge Mir García –, come nel resto della Spagna, per la gestione delle crisi da parte del governo Zapatero e per l’opposizione all’indipendenza. C’è, però, un altro aspetto che proprio qui in Catalogna ha avuto una manifestazione importante: la crescita degli “indignados”. Il movimento non ha dato vita a un nuovo gruppo politico, sebbene Podemos vi faccia riferimento ideale. Ha reso evidente, però, la disaffezione verso i due schieramenti classici, popolari e socialisti». Questo è confermato dall’ascesa ai primi posti, con uno o due punti di differenza, di formazioni in qualche modo nuove: i nazionalisti radicali di Esquerra Republicana, En Comú Podem, coalizione tra Podemos e vari piccoli gruppi locali, e Ciudadanos. Quest’ultima è nata, del resto, a Barcellona come risposta alla retorica nazionalista. E, con il suo stile riformista moderato e l’enfasi sulla lotta alla corruzione, intercetta elettori sia popolari sia socialisti. La Catalogna e il suo movimento anti-sfratti sono stati uno degli incubatori di Podemos, come ricorda in continuazione il sindaco del capoluogo, Ada Colau. «Il suo forte coinvolgimento ha fatto decollare il partito che potrebbe affermarsi addirittura come primo o secondo, dopo Esquerra Repblicana», prevede Mariano Torcal, analista della Pompeu Fabre. Quest’ultima rappresenta, agli occhi dell’elettorato nazionalista, come l’antitesi degli inconcludenti eredi di Convergencia. Vi è, infine, un ultimo aspetto da considerare. La questione catalana è rimasta “coperta” per l’intera campagna. I partiti sanno quanto è facile “scivolare” sull’argomento. Non hanno potuto, però, evitare di prendere almeno una posizione generica.Di chiusura nel caso di popolari e Ciudadanos, giocando la carta della riforma costituzionale più federalista invece per i socialisti. Podemos, infine, si è schierato per un referendum secessionista. Ciò ha contribuito al suo decollo in Catalogna. Gli basterà come trampolino verso Madrid?