Inseguite da un’orda inferocita. E massacrate perché ritenute delle «sanguma». Streghe. Il bilancio è drammatico: sei donne uccise, due erano bambine. Venti le persone ferite, decine le case devastate. È accaduto in un villaggio dello Stato-arcipelago di Papua Nuova Guinea, nel Pacifico. Secondo media locali citati dalla radio nazionale australiana
Abc, diverse centinaia di uomini del villaggio di Raicoast, nella provincia di Madang, sono discesi nel vicino villaggio di Sasiko alla caccia di persone ritenute streghe. La polizia ha arrestato 180 persone. Un’esplosione di violenza che non è affatto rara in Papua Nuova Guinea. Lo scorso anno il Parlamento di Port Moresby ha ripristinato la pena di morte per crimini violenti e ha abrogato una legge del 1971 che concedeva attenuanti se l’accusato agiva per fermare atti di “stregoneria”. Una “parete” legale (e sottile) che non riesce però a contenere un mix fatto di credenze ataviche, patriarcato radicato, povertà ed emarginazione. Tra il 70 e il 90 per cento degli under 25 nell’arcipelago è disoccupato. Lo “steam” (un liquore casalingo) e le droghe dilagano. I «marijuana boys», gli squadroni di giovanissimi che individuano, catturano, torturano e assassinano le presunte “streghe”, spesso dopo un inquietante processo pubblico, imperversano incontrastati. Le autorità, spesso, sono complici. Per superstizione e perché i “pogrom” sono un modo di scaricare la furia delle bande su innocui capri espiatori. Le presunte streghe sono quasi sempre persone emarginate. Donne sole, senza protezione, in un contesto profondamente maschilista. Per l’Onu la persecuzione delle “streghe” serve proprio a mascherare un sistema ramificato e tentacolare di abusi contro le donne. Le stime più caute parlano di almeno 150 omicidi legati alla “sanguma” all’anno. Una macabra, efferata, teoria di delitti. Lo scorso anno due donne anziane sono state torturate per tre giorni e poi decapitate nell’isola orientale di Bougainville, dopo essere state catturate da familiari di un maestro di scuola morto da poco. In un altro episodio, esattamente un anno fa, sei donne accusate di praticare la stregoneria sono state torturate con ferri roventi durante un “sacrificio di Pasqua” nella provincia degli altipiani meridionali. Poche settimane prima una giovane madre, anch’essa accusata di stregoneria e della morte di un bambino di sei anni, era stata bruciata viva negli altipiani occidentali, dopo essere stata denudata, legata e torturata con un ferro da marchio. «La Papua Nuova Guinea ha compiuto un passo avanti nel proteggere le donne dalla violenza abrogando la legge sulle attenuanti per crimini compiuti contro la stregoneria, ma anche dei passi indietro giganteschi col ritorno alla pena di morte», ha detto la vice direttrice di Amnesty per l’Asia-Pacifico, Isabelle Arradon.