Hersch Goldberg-Polin - Foto Vatican News
«Rachel mi ha commosso con il suo coraggio e la sua saggezza: “Non deve esserci una gara fra i dolori. Tutti soffrono. Non voglio che la mia afflizione ne provochi altra”, mi ha detto. E ha aggiunto: “Unisco la mia sofferenza a quella dei tanti uccisi nella Striscia”. Solo quando due dolori diventano un amore unico, troviamo la via della pace». Così il 16 giugno su “Avvenire”, rispondendo a Lucia Capuzzi, il cardinale Matteo Zuppi raccontava il suo dialogo con la mamma di Hersch, il 23enne ostaggio di Hamas trovato cadavere il 31 agosto dall’esercito israeliano insieme ad altri cinque giovani rapiti con lui il 7 ottobre di un anno fa al rave party nel deserto. Incontrandola a Gerusalemme durante il pellegrinaggio organizzato dalla Chiesa di Bologna come gesto di speranza e di pace, Zuppi da allora era rimasto in contatto con questa coraggiosa donna testimone di riconciliazione nel grande dolore di una separazione forzata dal figlio, che ora deve piangere insieme alle altre famiglie dei giovani uccisi dai terroristi di Hamas, probabilmente poco prima dell’arrivo dei soldati di Tel Aviv.
Un dolore, quello di mamma Rachel Goldberg-Polin, che Zuppi ha fatto suo esprimendo in una nota dell’Arcidiocesi di Bologna «vicinanza al dolore di tutte le famiglie degli ostaggi e delle popolazioni che stanno soffrendo in quella regione» e ricordando a tutti le parole della donna: « Le nostre famiglie e quelle dei civili innocenti uccisi a Gaza provano lo stesso dolore. Non è una classifica del dolore né una competizione a chi soffre di più o a chi versa più lacrime. Siamo tutti umani. Abbiamo bisogno che si fermi la guerra e che smetta di esistere la sofferenza che stiamo sperimentando in questa zona del mondo. Non voglio che il mio dolore provochi altro dolore». Zuppi, insieme alla Chiesa di Bologna, invita ora «a pregare per la pace, per la fine del conflitto ed esprimono la vicinanza a tutte le vittime e popolazioni che soffrono, e si uniscono alla preghiera di papa Francesco all’Angelus per la Festa dell’Assunta: “Chiedo ancora una volta che si cessi il fuoco su tutti i fronti, che si liberino gli ostaggi e si aiuti la popolazione stremata. Incoraggio tutti a compiere ogni sforzo perché il conflitto non si allarghi e a percorrere le vie del negoziato affinché questa tragedia finisca presto! Non dimentichiamo: la guerra è una sconfitta”».
La mamma di Hersch si era adoperata in ogni modo perché il mondo intero non dimenticasse suo figlio e tutti gli ostaggi di Hamas. Dal palco della convention democratica di Chicago aveva commosso l’America con la sua testimonianza (la famiglia è di origine americana, emigrata in Israele) e aveva incontrato il Papa a Roma con una delegazione di parenti di ostaggi dopo avergli fatto pervenire un suo accorato videomessaggio.
Toccante la testimonianza resa su Rachel ed Hersch per i media vaticani da Roberto Cetera, giornalista dell’“Osservatore romano”, che l’aveva conosciuta tramite comuni amici pochi giorni dopo l’attacco del 7 ottobre: «Mi raccontò tutto di Hersh – riferisce Cetera –. Dei suoi 23 anni. Di quando lui aveva 8 anni e si erano trasferiti dagli Usa in Israele. Della sua curiosità per il mondo e per l’umano. Dei suoi viaggi in autostop per l’Europa. Del suo amore per l’Italia. Dei biglietti già acquistati per fare per un anno il giro del mondo. Della sua passione per la musica, che gli è poi risultata fatale (...). Della sua spiccata socievolezza, che gli fruttava tanti amici, “anche arabi”. Insomma, il ritratto semplice e nitido di un ragazzo buono e con tanta voglia di vivere».
Il cuore di Rachel si spingeva a immaginare la prigionia del figlio: «Sono convinta che Hersh ora a Gaza sia accudito anche da una mamma, e questo mi conforta perché le mamme non sanno odiare». E ancora quel tema del possibile ritrovarsi tra fronti opposti sul comune dolore: «So che voi cristiani operate molto sul perdono – aveva detto ancora a Cetera mamma Rachel –. Parlare di perdono in questa situazione è difficile, forse impossibile. Però c’è una cosa che può aprire la strada ad un futuro reciproco perdono. Ed è l’essere consapevoli della sofferenza altrui. Non siamo i soli a soffrire. Oltre quel muro a Gaza ci sono tanti innocenti che soffrono. Non possiamo ignorarlo».