Dopo la minaccia della Russia di scatenare una guerra del gas, l’Ucraina cerca di limitare i danni offrendo maggiore autonomia alle regioni ribelli separatisti dell’Est. Il premier ad interim, Arseni Iatseniuk, si è recato ieri a Donetsk per cercare di placare gli animi e abbassare la tensione con gli attivisti filo-russi che da giorni occupano gli edifici governativi. Iatseniuk ha offerto più poteri per le regioni orientali e si è detto a favore dell’adozione da parte del Parlamento di una legge che consenta referendum locali, vietati dalla Costituzione vigente, sullo status della regione. Ha inoltre rassicurato sull’uso della lingua russa, escludendo un’abrogazione della legge del 2012 che permette la coesistenza di due lingue nel caso in cui una minoranza superi il 10 per cento della popolazione. Non è chiaro se i separatisti accetteranno la mano tesa: per ora a Donetsk hanno rafforzato le barricate, in vista della scadenza di ieri dell’ultimatum lanciato da Kiev per sgomberare. Intanto, mentre annuncia che non concederà l’estradizione in Ucraina di Viktor Janukovich, il deposto leader filo-russo che Mosca considera ancora «il presidente a pieno titolo e legittimo» dell’Ucraina, la Russia assicura di non avere «truppe o spie» nelle regioni separatiste e smentisce di avere ulteriori mire territoriali. «Non abbiamo soldati lì, né agenti segreti. Ci sono cittadini russi, è vero, ma ciò non è sorprendente dal momento che a Maidan ci sono persone di molte nazionalità diverse», ha sottolineato ieri il ministro degli Esteri russo Sergeij Lavrov. Il nuovo governo di Kiev ha infatti accusato Mosca di celarsi dietro ai gruppi separatisti che stanno occupando gli edifici governativi a Lugansk e Donetsk, dove ieri sette per- sone sono morte nell’esplosione, causata da una fuga di gas, in una miniera di carbone. Inoltre, tre giorni fa è stata arrestata una ragazza russa di 23 anni sospettata di essere una spia che inviava informazioni a Mosca. Lavrov ha anche negato ulteriori mire espansionistiche di Mosca: «Sono ambizioni che non possiamo coltivare», ha tagliato corto. «Contraddicono gli interessi fondamentali della Federazione Russa. Noi vogliamo un’Ucraina integra entro i propri confini, ma integra nel pieno rispetto di tutte le sue regioni», ha aggiunto. Quanto alla trasformazione della Repubblica ex sovietica in uno Stato federale, «è un’espressione sulla quale non insistiamo», ha concluso Lavrov. «Spetta soltanto al popolo ucraino decidere». Insomma, nonostante i tentativi di ricucire resta ancora alta la tensione. In Crimea, intanto, il Parlamento locale ha approvato all’unanimità la nuova Costituzione filo-russa, che certifica l’auto-proclamata indipendenza dall’Ucraina e la recente annessione della penisola alla Russia. Nella prima seduta aperta ai giornalisti dalla fine di febbraio, quando si decise di troncare i legami con Kiev, a favore del provvedimento hanno votato tutti i deputati presenti, 88 su cento. Il testo stabilisce che la stessa Crimea e il porto di Sebastopoli sono «soggetti della Federazione Russa », nella quale saranno integrati a partire dal 1 gennaio 2015. Infine, un nuovo appello al dialogo è arrivato dal ministro degli Esteri italiano, Federica Mogherini, anche in vista del summit in programma a Ginevra la prossima settimana tra Usa, Russia, Ucraina e Ue: «Se portiamo avanti una politica conflittuale con la Russia, si rischia di far subire ad altri Paesi in Europa conseguenze negative », ha detto la titolare della Farnesina.
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