Sei per la precisione le violazioni che ha censito il comando della missione Unifil: sei lanci di missili e sei repliche israeliane. Il generale Paolo Serra ieri ha guidato l’ultimo Tripartite Meeting, nella base posta lungo il Confine, unico punto di attraversamento fra i due Stati, e oggi passa il testimone a un altro italiano alla guida di Unifil, il generale Luciano Portolano: prevista la presenza del ministro della Difesa Roberta Pinotti alla cerimonia che vedrà stasera la partecipazione di tutti e 37 i Paesi della missione. In questa "straordinaria" conferma l’esplicito riconoscimento del ruolo di intermediazione quasi insostituibile svolto dal nostro Paese fra due Stati che non si parlano, neanche in questi incontri mensili al confine, se non per il tramite del Force Commander, il capo della missione Onu. Ma questo non ha impedito di andare avanti nel lavoro di tracciamento della linea armistiziale di confine. Dei 570 blue pillar (i bidoni blu dell’Onu piantati su un pilone) previsti, per delimitare i 120 chilometri di "Blue line", Serra lascia 360 posizioni concordate, 300 sminate e 212 piloni giù montati. Più della metà del lavoro, con difficoltà che persistono nella zona est, verso il confine con la Siria, ma tutto sommato anche zone come la citta contesa di Gajar non fanno eccezione a questa situazione: se non è pace, non è nemmeno guerra. Israele non esiste, sulle cartine c’è scritto Sud Palestine, altrettanto in Israele si parla di Nord Galilea in riferimento al Sud del Libano, ma tutto sommato sono 8 anni che non si spara e ci sono ragazzi che ora vanno a scuola senza aver conosciuto la guerra.
I fragili equilibri politici in Libano reggono soprattutto grazie alla tenuta dell’esercito, frutto dell’investimento di tutte le componenti – dalle milizie sciite di Hezbollah alle vecchie falangi maronite – sulle Laf (Lebanese Armed Forces) e non è un caso che la carica di presidente della Repubblica (appannaggio dei cristiani maroniti, mentre la guida del Governo tocca ai sunniti e agli sciiti quella di speaker del Parlamento) ultimamente ci siano arrivati tutti ex capi dell’esercito. Ci aspira Michel Aoun (in passato anche lui capo delle Laf), ma sul suo nome non c’è intesa. Aoun, cristiano maronita, di recente aveva aperto alla coalizione filo sciita e filo-siriana cosiddetta dell’"8 marzo", che ha sopravanzato l’altra, più filo araba e filo occidentale del "14 marzo" di Saad Hariri, figlio – ora in esilio – del leader assassinato in un attentato, Rafik. Ma nessuna coalizione da sola basta a raggiungere i due terzi per eleggere il presidente. Ieri, nona fumata nera in Parlamento e ciò rischia di compromettere anche i fragili equilibri del governo di unità nazionale in cui la coalizione egemonizzata da Hezbollah ha trovato una precaria intesa con l’altra. Il candidato più forte, ancora coperto, potrebbe essere proprio l’attuale capo delle Laf, lo stimato Jean Kahwagi, ma se l’intesa cadesse su di lui si aprirebbe un altro problema per la successione alla guida dell’esercito. Con il quale l’Italia, fra l’altro, nel giugno scorso, ha stipulato un accordo di cooperazione – siglato dai ministri Mogherini e Pinotti – che potrà portare in un arco di tempo «dai 5 ai 15 anni», alla completa autosufficienza militare del Libano, anche sul peacekeeping.
Ma c’è un problema in più in questo Paese stretto fra due fuochi. Dalla Siria sono arrivati negli ultimi tre anni oltre 1 milione e 200mila profughi siriani, tanti per un Paese di circa 4 milioni di abitanti. Anche nel Sud, che ospita nei campi già da oltre 60 anni 50mila profughi palestinesi, ne sono arrivati altrettanti dalla Siria. E il 50 per cento dell’attività di "medical care" operata dai nostri militari è indirizzato proprio ai siriani. Preoccupa anche la carenza d’acqua, dopo un inverno fra i meno piovosi. Ma non li chiamiamo profughi, per noi sono "rifugiati temporanei", dice Abdul Mohsen al Husseini, presidente della Regione delle Municipalità di Tiro, autentica autorità in zona, come testimoniano le foto che lo ritraggono con tutti i capi militari italiani succedutisi nel tempo e anche con Ban Ki-Moon. Per tutti qui è "lo zio". Aderente al partito degli sciiti moderati di Hamal, 78 anni, lo "zio" è un vero e proprio custode del dialogo fra i diversi riti e saluta gli ospiti con un bacio sulla fronte, specie se cristiani. «Quello che sta accadendo contro i cristiani in Siria e Iraq, in terre in cui loro erano prima di noi, è inaccettabile e a papa Francesco diamo tutta la nostra solidarietà», ci dice. Qui a due passi c’è la terrazza di Cana, quella del miracolo delle nozze: «La fede cristiana ci è cara, il messaggio che vogliamo mandare è che qui in Libano cristiani e musulmani siamo fratelli. E abbiamo rispetto della vostra storia».