La decisione è maturata quando ormai erano chiari diversi elementi. Il primo: a prescindere dal voto italiano la Palestina sarebbe stata ammessa come stato osservatore all’Onu. Poi, a ruota, gli altri due elementi: il non ostracismo di Barack Obama e l’ampia maggioranza di «si» e astensioni dei Paesi Ue, che almeno pone un argine all’onta di essere arrivati a New York senza una posizione comune. Una volta capito che il quadro non aveva macchie, Monti ha accelerato: «L’Italia – è la nota diramata da Palazzo Chigi a ora di pranzo – dice "si" alla risoluzione, la decisione è parte integrante dell’impegno del governo per rilanciare il processo di pace con l’obiettivo di arrivare a due Stati, quello israeliano e quello palestinese, che possano vivere fianco a fianco, in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento. E abbiamo ricevuto dalle parti la conferma circa l’intenzione a riaprire il negoziato, senza il quale non potrà esserci la nascita di uno Stato di Palestina membro a pieno titolo dell’Onu».Ieri mattina, motivi per ritardare la decisione sino al momento della riunione (come aveva paventato il ministro degli Esteri Terzi) non ce n’erano più. Anzi, l’attendismo finiva col dare l’impressione di un governo incerto e "ballerino". A quel punto il premier ha fatto le ultime telefonate, che concludevano un lavoro diplomatico durato giorni. La prima, in cui è maturato l’orientamento definitivo, al capo dello Stato Giorgio Napolitano. La seconda e la terza per comunicare la decisione al primo ministro israeliano Banjamin Netanyahu e al presidente dell’Anp Abu Mazen, quest’ultimo interprete di una «linea moderata» che Roma vuole «incoraggiare».La nota del governo fa anche intendere quale sia stato il tenore dei colloqui: «L’Italia ha chiesto al presidente Abu Mazen di accettare il riavvio immediato dei negoziati di pace senza precondizioni e di astenersi dall’utilizzare l’odierno voto dell’Assemblea generale per adire la Corte penale internazionale o per farne un uso retroattivo». Tradotto in termini concreti: Monti e l’Ue non vogliono che la Palestina chieda l’incriminazione di Israele per reati di guerra. Mentre a Netanyahu il premier italiano ha ribadito che «questa decisione non implica nessun allontanamento dalla forte e tradizionale amicizia nei confronti di Israele».Certo, da Israele non ci si attendevano risposte ufficiali al miele, e così è stato. L’ambasciatore a Roma Naor Gilon è stato lapidario: «Siamo molto delusi dalla decisione dell’Italia, uno dei migliori amici di Israele. I palestinesi da quattro anni rifiutano di tornare al tavolo e ora cercano di influenzare il negoziato attraverso istituzioni internazionali. È una mossa che non migliorerà la situazione sul terreno e anzi aumenterà le preoccupazioni di un ritorno alla violenza». Ancora più gelida la reazione di Riccardo Pacifici, presidente della Comunità ebraica di Roma, che fa intendere un’influenza del Pd di Bersani sulla decisione del governo: «Sino al confronto in tv tra Bersani e Renzi l’esecutivo era nella prudente linea dell’astensione, forse si è tenuto conto delle preoccupazioni del premier
in pectore». Commenti che Palazzo Chigi, senza polemizzare, rintuzza ricordando che «la scelta è avvenuta in continuità con la linea di politica estera storica del Paese», dunque senza valutazioni politiche.Sull’altro fronte, quello palestinese, reazioni del tutto opposte: Abu Mazen, informa Nemer Hammad, consigliere del leader Anp, ha «ringraziato» Napolitano e Monti. «L’Italia – dice – torna ad essere un grande Paese». Il consigliere del presidente palestinese ha anche ammesso di aver lavorato con i maggiori leader politici italiani (Fini, Casini, D’Alema...) per creare consenso intorno al «sì». E anche l’ambasciatore a Roma Sabri Ateyeh applaude: «È una lezione magistrale di politica estera, un gesto che va nella direzione della stabilità in Medio Oriente e nel Mediterraneo».