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Pechino rivendica la sovranità sul 90% delle acque dell'area in base alla cosiddetta "linea dei novi punti" formulata dal governo del leader nazionalista Chiang Kai Shek nel 1947, sconfitto dai comunisti di Mao, e fatta propria nel 1949 dal premier cinese Zhou Enlai. Essa comprende un'area di quasi 3,5 milioni di chilometri quadrati con territori rivendicati anche da altri Paesi del sud-est asiatico, come Vietnam, Brunei, Malaysia e Taiwan, erede dei nazionalisti cinesi. La Cina ha già fatto sapere di considerare "carta straccia" la sentenza. Il ricorso alla Corte è stato infatti avanzato unilateralmente dalla Filippine nel 2013 e i giudici, la cui sentenza è inappellabile, non hanno alcune mezzo per obbligare la Cina ad attenersi alle sue decisioni.Il governo filippino ha accolto con soddisfazione la sentenza e ha invitato Pechino alla "moderazione".Ha commentato la sentenza anche il Giappone, che ha con Pechino la controversia nel mar Cinese orientale delle isole Senkaku/Diaoyu, sotto il controllo nipponico e rivendicate dalla parte cinese. Tokyo, si legge in una nota del ministero degli Esteri, "ha sempre sostenuto l'importanza dello stato di diritto e l'uso di mezzi pacifici, non l'uso della forza o la coercizione, nella ricerca delle soluzione delle controversie marittime". "Dato che la sentenza del Tribunale è definitiva e legalmente vincolante per le parti ai sensi della Unclos, le parti coinvolte sono tenute a rispettare il responso. Il Giappone - conclude la nota - prevede fortemente che il rispetto delle parti alla fine possa portare alla soluzione pacifica delle dispute nel mar Cinese meridionale". Gli Stati Uniti ritengono la sentenza sia "un importante contributo all'obiettivo comune di una soluzione pacifica alle dispute" in quelle acque. Lo dice il portavoce del dipartimento di stato americano John Kirby, auspicando che "entrambe le parti rispettino i loro obblighi" e che tutti gli attori coinvolti "evitino dichiarazioni o azioni provocatorie".