Quella struttura massiccia accoglieva i viaggiatori proprio in cima all’oasi in mezzo al deserto. Mattoni ocra e rosa allineati a mano in un complesso imponente che sapeva di ordine, di pulizia, di fresco. Le porte sempre aperte a chiunque passasse di lì:
Qaryatain, Siria, a metà strada tra Homs e Damasco. Del monastero siro-cattolico di Mar Elian dev’essere rimasto poco. I jihadisti dello Stato islamico hanno documentato e pubblicizzato il loro “lavoro” con un video: una serie di fotografie accompagnate da un sottofondo musicale: i muri interni abbattuti, gli spazi violati, le reliquie di Sant’Elian – a cui è dedicata la chiesa – profanate: la tomba lasciata aperta, esposta; la ruspa che si avvicina all’edificio e comincia a infierire; i miliziani all’interno di una stanza, in mezzo alle macerie. Stranamente, non c’è un’immagine della distruzione complessiva: probabilmente la struttura portante dell’edificio è ancora in piedi ed è stato distrutto “solo” l’interno. Qualcosa che fa pensare a un intervento fatto senza troppa pianificazione (a Mosul e in altre zone l’Is ha fatto saltare i luoghi sacri con le cariche di esplosivo), giusto per infierire con ferocia ormai svogliata contro pietre che per secoli hanno testimoniato una presenza di fede, e di bellezza.
(Il monastero prima della distruzione. Ansaweb)
Gli uomini dello Stato islamico erano arrivati a Qaryatain all’inizio di agosto. La lunga colonna di pick-up aveva fatto il suo ingresso nella città (strategica anche perché vicina a una zona ricca di giacimenti) e i miliziani avevano cominciato a rapire e razziare. Più di 200 persone, tra cui almeno 60 cristiani, erano state portate via: destinazione Raqqa, la “capitale” del Califfato siro-iracheno. Una cinquantina di ostaggi erano poi stati rilasciati, senza un motivo. Da allora, l’accanimento contro i luoghi sacri, i simboli, i siti archeologici non si è mai arrestato. La città antica di Parlimira è costantemente sotto scacco: solo pochi giorni fa l’Is ha ucciso il custode del sito, l’81enne Khaled Asaad, decapitandolo e facendo scempio del suo corpo. Ora tocca a Mar Elian. Di nuovo. Osama edward, attivista per i diritti dei cristiani siriaci ha riferito all’
Associated Press che in passato il monastero era già stato danneggiato dai bombardamenti governativi, e che nelle ultime settimane l’Is ha «completato la distruzione». Per ora, però, non si hanno notizie più precise di quanto sia realmente successo, fino a che punto si sia spinta la forza distruttiva dei jihadisti. Il monastero era stato restaurato negli anni 2000 anche grazie agli sforzi di padre Paolo Dall’Oglio, il gesuita che guidava la comunità monastica di mar Musa, cui il convento di Mar Elian è affiliato. Di padre Dall’Oglio non si hanno più notizie dal luglio del 2013, quando è scomparso a Raqqa. E dal 21 maggio non si hanno notizie di padre Jacques Murad, priore di Mar Elian. Secondo fonti concordanti, i miliziani sono arrivati in moto, lo hanno costretto a salire sulla sua auto e lo hanno portato via. Proprio lui, che dall’inizio del conflitto aveva accolto e protetto nel complesso monastico centinaia di profughi: cristiani e musulmani. Un’opera di amicizia e solidarietà che gli veniva riconosciuta da tutti, tanto che nei mesi scorsi i leader musulmani dell’area, i capi-villaggio e i capi dei clan avevano preso un’iniziativa comune per cercare di aprire canali con i rapitori per ottenere la sua liberazione.Il problema è che le autorità islamiche locali hanno poco influenza sull’Is, che agisce in base a logiche estranee al mondo islamico, denunciate dal mondo islamico. Ieri, dal Cairo, la Dar al-Ifta egiziana, l’istituzione preposta a emettere pareri religiosi (fatwa) ha stigmatizzato l’attacco al monastero definendolo un «atto contrario all’islam, che chiede il rispetto di tutte le religioni». Anche questa condanna, però, resterà inascoltata, come tutte le altre. Perché l’Is è follia sorda a qualunque appello della regione. Furia cieca di fronte a qualunque bellezza.