«It’s a peaceful protest!». È una protesta pacifica, urlano, mentre resistono al blitz dei reparti della polizia. Si sdraiano sull’asfalto in sessanta. Abbracciati l’uno all’altro in un’unica onda muscolare, che sembra scolpire un inespugnabile ciclope. Sono i residenti di Ardoyne. Gli abitanti cattolici dello storico distretto repubblicano a Belfast. Da lì a poco, centinaia di lealisti e massoni delle logge orangiste dell’enclave anglicana di Ligoniel marceranno in parata verso le loro comunità. Lassù, nella parte alta di Crumlin road, oltre quel muro di acciaio eretto dalle dozzine di Land Rover della polizia britannica, li aspettano migliaia di manifestanti avvolti nei colori della Union Jack del Regno Unito. Dovranno passare sotto l’ultratecnologico tunnel di teflon a protezione di spalle, gomiti, ginocchia e stinchi di un migliaio di agenti; un microestintore verde per placare le fiamme delle molotov sulle uniformi antisommossa appeso sulle cosce, casco nero, manganello e il fucile HK L104, detto "sputa-plastica". Centoquarantadue grammi in una pallottola-cilindro di pvc sparata a cinquecento chilometri orari. Fischiano per pochi secondi nell’aria, quindi l’ottuso suono di risucchio che divora ossigeno e provoca istantanee apnee. L’"epico" viaggio dei proiettili di plastica in Ulster è l’iconografica risposta alle molotov repubblicane. Paradigma di una ferita ancora aperta dopo quarant’anni di scontri. Benvenuti in Irlanda del Nord. Per capire l’evoluzione circolare di un anno nordirlandese è impensabile dissociare l’Orange Order dalla politica unionista, né si può stigmatizzare la giusta causa di centinaia di persone comuni, di cattolici, che si oppongono con ogni mezzo a queste violente kermesse lealiste. Si può dire che il vero collante delle sei contee con il Regno Unito sia l’orangismo. Allo stesso modo, per un corrispondente di lungo corso, cronaca e estetica del contenuto fotografico si fondono a garanzia dell’informazione. Gli scatti qui riprodotti sono stati fatti nelle notti tra l’undici luglio e il quindici luglio e nel pomeriggio del dodici. La giornata del "glorioso dodici" orangista: la rievocazione di una battaglia avvenuta nel 1690, che significò il massacro di uomini e di una religione su un’altra, perpetuata con tremila marce di matrice settaria nella provincia. Una miscela di trionfalismo unionista e dominio del territorio. Spiegare un fatto significa darne una collocazione storica. Soprattutto quando si tratta delle Sei Contee di questa tormentata provincia britannica. Ora, tale collocazione non può che avvenire in riferimento a un nuovo punto di osservazione. Primo, la «guerra a bassa intensità», che non s’arresta, malgrado il faticoso processo di pace per la risoluzione del conflitto nordirlandese. Secondo, la domanda su che cosa sia il terrorismo irlandese. Una guerra forse, come pretendono le formazioni paramilitari repubblicane che mirano con la lotta armata all’unificazione dell’Eire; oppure solo un crimine, come replicano gli unionisti e lo Stato britannico. Resta la realtà di una regione in cui la pace non è ancora di casa, malgrado i recenti, generosi tentativi. E in cui la religione viene piegata a elemento di contrapposizione: cattolici contro protestati, protestanti contro cattolici. Come se il conflitto fosse figlio solo di questa divisione. E non di tante altre cause, che con la religione si sono inestricabilmente intrecciate nel tempo.