Forse in nessun Paese del mondo la situazione dei cristiani assomigli a una “via crucis” come in Iraq. Il nuovo arcivescovo caldeo di Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona, è ad ogni modo desideroso di portare avanti le liturgie previste per la Settimana Santa e la Pasqua, nonostante la chiusura di molte chiese della città e le preoccupazioni per la sicurezza. Lo stesso vale per la piccola comunità siro-cattolica della stessa città settentrionale che ha visto quest’anno la peggior furia anti-cristiana del post-Saddam. «La nostra parola d’ordine – ha affermato monsignor George Casmoussa – è sperare, sempre e comunque. Celebreremo la Pasqua – ha aggiunto in un’intervista all’agenzia Sir – in questa situazione di sofferenza e di paura. Le nostre chiese non saranno affollate, come avveniva di solito, in quanto molte famiglie cristiane sono fuggite dalla città».La Settimana Santa viene celebrata in Iraq, come in altre Chiese d’Oriente, attraverso riti suggestivi e antichi. Le violenze cui sono sottoposti i cristiani fanno della Chiesa irachena una comunità di martiri, che vive giornalmente sulla propria pelle la passione di Cristo in una sorta di via crucis che non arriva mai alla luce della risurrezione. Le stazioni del calvario sono presenti agli occhi di tutti: un numero complessivo dei cristiani dimezzatosi in 7 anni passando da 1,2 milioni nel 2003 a 600 mila oggi a causa della violenza anticristiana; oltre 65 chiese attaccate o distrutte in una trentina di attentati simultanei o individuali nello stesso periodo; circa duemila cristiani rapiti e uccisi in diverse ondate di violenza; sacerdoti rapiti e uccisi; decine di migliaia di sfollati interni, tra cui 870 famiglie costrette alla fuga e umiliate che hanno lasciato Mosul fra il 27 febbraio e il 1 marzo 2010.Ha ancora senso parlare di Pasqua in questa situazione? «Certamente – risponde monsignor Nona – sebbene quest’anno non la celebreremo in tutte le chiese, per motivi di sicurezza. I nostri fedeli, infatti, non possono recarsi nelle parrocchie della zona antica della città, a causa di blocchi e check-point della polizia e dell’esercito. La situazione è critica e molto difficile, tuttavia la scelta di celebrare solo nei luoghi più protetti dovrebbe favorire la partecipazione alle liturgie. Non prevediamo riti all’esterno e anche le liturgie dentro le chiese si svolgeranno senza troppa visibilità. Il pericolo di attentati è reale nonostante i dispositivi di sicurezza messi a punto per l’occasione dalle istituzioni». Per monsignor Nona, nominato nel novembre scorso a capo della diocesi dopo il rapimento e l’uccisione del suo predecessore, monsignor Paulos Faraj Rahho, insiste sull’importanza per i fedeli di dare senso a questa sofferenza, e viverla come offerta per la salvezza dell’Iraq. «La Pasqua – dice – serve a concentrarci sul dolore che stiamo vivendo per rileggerlo alla luce della risurrezione, della speranza nella vita eterna». Un barlume di speranza per alcuni è l’elezione di diversi cristiani alle ultime elezioni legislative, anche se la varietà delle liste presentate dai cristiani ha favorito una frammentazione politica dei fedeli. «Il nuovo Parlamento e il nuovo governo dovranno fermare la strage dei cristiani trovando mandanti ed esecutori di questi crimini», afferma l’arcivescovo di Baghdad dei latini, monsignor Jean Benjamin Sleiman. «Lo Stato – aggiunge – deve intervenire. Se non è capace, chieda ad altri di farlo. È inaccettabile che persone vengano uccise in questo modo». Per il prelato il calvario di questi giorni sembra, senza la speranza, immotivato, assurda e inspiegabile. «Se c’è una Pasqua qui è quella di pregare affinché non si estingua la speranza».