Erano soltanto in tre,
due monaci e una monaca, nel piccolo monastero di Sulaymaniyya,
nel Kurdistan iracheno. Dalla comunità al Khalil, fondata a Mar
Musa in Siria da padre Paolo Dall'Oglio, del quale da oltre un
anno non si hanno notizie, in tre erano andati, ormai due anni
fa, nel piccolo monastero per presidiare il sito dedicato alla
Vergine Maria. Per pregare e accogliere i giovani cristiani,
soprattutto l'estate, che qui accorrevano per i loro ritiri. E
invece da alcune settimane si sono trovati ad accogliere decine
di rifugiati. "Eravamo tre - racconta
Sébastien Duhaut, monaco
della comunità, alla rivista dei gesuiti,
Popoli - e ora eccoci
in 164". A far crescere la popolazione del convento sono i
rifugiati della regione di Mossul, cacciati dai loro paesi a
causa dell'avanzata dello Stato islamico.
Gli sfollati hanno occupato un po' tutti gli spazi a
disposizione: "Sono alloggiati in qualche modo, anzi stipati
nella biblioteca, nel salone, nella chiesa, nella casa dei
monaci, oltre che in qualche casa abbandonata che abbiamo pulito
in fretta e messo a posto nei giorni scorsi", racconta il
monaco.
Il mese di agosto doveva essere dedicato ai campi estivi per
i giovani cristiani iracheni, uno per le ragazze e l'altro in
stile scout, con camminate e notti trascorse sulle montagne, con
un programma di preghiere, meditazioni e condivisione. "Invece è
con noi
questa massa di persone - scrive nella sua lettera padre
Sébastien -, alcune profondamente traumatizzate, fragili e
sradicate più volte dal loro ambiente".
E la convivenza forzata non è sempre un idillio: accanto a
gesti di solidarietà ci sono anche piccoli egoismi. "La
situazione di crisi - racconta infatti con franchezza il monaco
- a volte favorisce slanci di solidarietà ammirevoli, ma anche
tensioni egoiste difficili da immaginare. C'è la famiglia che
preferisce cucinare nella propria camera piuttosto che in cucina
per non rischiare di condividere il fornello con altri
rifugiati. Una decina di medici curdi e arabi, invece, dedicano
cinque ore del loro tempo per proporre visite a tutti quelli che
lo desiderano, utilizzando come studio una pila di materassi
collocati in chiesa. Un idraulico di Qaraqosh, papà di un
neonato, lavora dieci ore al giorno per portare l'acqua in tutte
le case e rifiuta del tutto di farsi pagare".
Padre Sébastien non ha dubbi: "Occorrono
luoghi per la
misericordia, momenti di tenerezza collocati in questa
geopolitica di guerra" e "i monasteri devono essere tali
luoghi".