«Sono disposto a pagare qualunque prezzo per il mio Paese». È un attivista politico dal 1962 Mehdi Karrubi, uno dei leader dell’opposizione iraniana. Conosce, dunque, fin troppo bene i rischi del dissenso. Tanto che queste parole le ha pronunciate ieri mattina. Diverse ore prima che la magistratura ne annunciasse l’imminente processo. Le «menti della sedizione», ovvero Karrubi e l’altro riferimento del fronte anti-Ahmadinejad, Hossein Mussavi, non sfuggiranno «ai doveri della giustizia» e «saranno processati a tempo debito», ha detto il vice-capo del potere giudiziario Ali Razini. L’ultima “colpa” dei due è quella di aver partecipato alle manifestazioni di lunedì duramente represse dal governo: negli scontri sono morti due ragazzi.L’ala conservatrice è determinata a punirli. Oltre al giudizio in aula, Mussavi e Karrubi saranno sottoposti a quello «del popolo»: domani il regime ha promosso un corteo “d’odio” contro di loro, accusati di essersi «venduti» agli Usa e a Israele. Anche, ieri, nella comunità internazionale si sono levate le voci di condanna del pugno di ferro del cancelliere tedesco Merkel e del ministro degli Esteri italiano Frattini. Inutile l’intento di Mussavi di smentire ingerenze straniere. Il dissidente invitato gli altri Paesi a non immischiarsi, rispondendo così indirettamente al presidente Obama, che aveva espresso la speranza che gli iraniani «avessero il coraggio» di continuare a protestare.Un modo per prendere le distanze da Washington, il cui sostegno darebbe ad Ahmadinejad la giustificazione per una repressione feroce dell’opposizione. Gli oltranzisti, però, sono apparsi sempre più determinati a schiacciare il dissenso: un corteo conservatore nella città santa di Qom ha chiesto, ieri, a gran voce «l’impiccagione» dei due traditori. Le minacce, però, non riescono a fermare la protesta. Ieri ci sono stati nuovi scontri durante i funerali delle due vittime delle manifestazioni di lunedì, Saneh Jaleh e Mohammed Mokyhtari, di 26 e 22 anni. Mentre la loro identità è nota, l’appartenenza politica resta un enigma. Il governo sostiene che Jaleh fosse un “basiji”, ovvero un suo attivista. Mussavi, però, ribadisce che si tratta di proprio sostenitore. Il sito dissidente
Kaleme ha dato notizia di nuovi incidenti tra miliziani islamici e studenti nell’Università delle Arti, quella frequentata da Jaleh. Alcuni ragazzi e un docente – riporta la testata online – sarebbero stati arrestati. I pasdaran hanno fatto anche irruzione in casa del figlio di Karrubi, formalmente per una perquisizione. Secondo fonti dell’opposizione, in realtà, le forze di sicurezza avrebbero cercato il giovane Hossein per metterlo in cella.