mercoledì 17 giugno 2009
I seguaci di Mussavi, il candidato moderato sconfitto nelle elezioni, hanno programmato una nuova manifestazione nel pomeriggio di oggi aTeheran. Minacce dei pasdaran contro i media stranieri. Il capo dell'Aiea: l'Iran vuole la bomba atomica.
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Il procuratore della Repubblica di Isfahan, nell'Iran centrale, ha detto che le persone arrestate per i disordini in corso nel Paese potrebbero essere condannate a morte. Il magistrato, Mohammad Reza Habibi, ha detto all'agenzia Fars che "il codice penale islamico prevede la pena di morte per coloro che creano danneggiamenti e incendi, considerandoli Mohareb". Un termine legale in arabo che significa 'Nemici di Dio'. Habibi ha aggiunto che i promotori dei disordini sono "legati a gruppi anti-rivoluzionari e ai nemici stranieri". .Prevista manifestazione. I seguaci di Mir Hossein Mussavi, il candidato moderato sconfitto nelle elezioni presidenziali iraniane, hanno programmato una nuova manifestazione nel pomeriggio di oggi nel centro di Teheran, secondo quanto affermato da alcuni loro rappresentanti. Ieri pomeriggio, durante una grande manifestazione svoltasi nel nord di Teheran, la voce è circolata tra i partecipanti che oggi un nuovo raduno sarebbe avvenuto in una piazza centrale della capitale. In precedenza l'agenzia riformista Ilna aveva scritto che il fronte riformista aveva avanzato una richiesta al ministero dell'Interno per tenere una manifestazione in un'altra piazza del centro, sempre oggi. Il raduno di ieri, che si sarebbe dovuto svolgere nella Piazza Vali Asr, in centro, è stata dapprima revocata e poi riprogrammata nel nord della città per evitare il contatto con i sostenitori del presidente Mahmud Ahmadinejad, che avevano programmato una contro-manifestazione proprio sulla Vali Asr.Intanto il ministero degli esteri iraniano ha accusato alcuni media stranieri di farsi «portavoce» dei «rivoltosi» e ha avvertito che a questi «nemici sarà inflitto «uno scacco matto». Vi è inoltre da registrare la posizione del direttore generale dell'Aiea, Mohammed ElBaradei,sui timori per un Iran «nucleare». «La mia sensazione è che senza dubbio l'Iran voglia acquisire la tecnologia che - se lo volesse - gli permetterebbe di costruire un'arma atomica» ha dichiarato l'esponente dell'agenzia di Vienna. «Lo scopo è mandare un messaggio ai Paesi vicini e al resto del mondo: 'non provocateci perchè se vogliamo possiamo avere la bomba». SFIDA IN PIAZZA(Luca Geronico)«Dio è grande». Il grido è lo stesso, ma le ragioni dividono come una lama di coltello l’Iran del dopo voto. Una piazza, Vali Asr, ha un leader certo, anche se ieri il presidente Ahmadinejad era in Russia, ad ostentare una normalità ormai fasulla. L’altra, piazza Vanak, forse non ha nemmeno un leader. Ma gli oppositori, i contestatori del voto del 12 giugno, anche ieri si sono trovati a migliaia in piazza e davanti al palazzo della tv di Stato. Una sfida comunque, dopo che per tutta la mattina si era temuto lo scontro fra i due cortei convocati entrambi a Vali Asr. «Non partecipate per salvare le vostre vite», ha fatto poi sapere un portavoce di Mir-Hossein Mussavi. Un appello alla calma, a non far degenerare la protesta, come chiesto dalla guida suprema Ali Khamenei. I morti l’altra notte, a manifestazione conclusa, sono stati sette: «Volevano prendere d’assalto una postazione militare vicino a piazza Azadi», ha spiegato in mattinata Radio Payam. Inviti alla calma difficili da raccogliere. Il Consiglio dei Guardiani, che dovrà esaminare i ricorsi contro il voto, lancia un segnale che vorrebbe essere distensivo: ci potrebbe essere un «nuovo conteggio parziale dei voti, ma annullare del tutto il voto è «impossibile». «Dio è grande», più grande anche dei giochi di palazzo. «Dio è grande». Più grande anche della censura: nessun giornalista straniero da ieri può uscire dagli uffici di corrispondenza. Solo interviste telefoniche, comunicati ufficiali e immagini delle tv di Stato. E soprattutto nessun manifestazione non autorizzata dal ministero degli Interni. A sera sulla tv di Stato, compare anche Khamenei, a lanciare lo stesso messaggio di pace della mattina: un conteggio parziale delle schede, se necessario. «Deve essere fatto in presenza dei rappresentanti dei candidati affinché tutti siano sicuri» del risultato, ha aggiunto Khamenei. L’ennesimo invito alla ragionevolezza e alla calma: «I due campi di elettori fanno parte del popolo iraniano e credono al regime islamico», ha concluso l’ayatollah, auspicando che il «clima amichevole» della campagna elettorale «non deve trasformarsi in un clima di animosità». Un segnale come sospeso, in una giornata vissuta nel timore dello scontro di una piazza contro l’altra: migliaia, si dice a sostenere Ahmadinejad, il presidente, in piazza Vali Asr. Migliaia, si dice – nonostante per ore i cellulari siano stati bloccati, come la rete web – da piazza Vanak hanno raggiunto piazza Tajrish, qualche chilometro più in là. Un corteo anche davanti alla sede della tv di Stato accusata di essere troppo partigiana. Tutti In silenzio con i soliti cartelli «Where is my vote». In silenzio, con i lunghi drappi verdi e gli abiti neri in segno di lutto per le vittime dell’altra notte. In silenzio, sperando che l’Iran sia diverso da quel 62% dipinto in fretta e furia dai burocrati del regime. In silenzio, perché imbavagliati dal regime. In silenzio, mentre gli sms e i blog spargono silenzioso fermento. Chi urla apertamente lo fa dall’estero, come l’ex presidente iraniano Abholassan Bani Sadr, il primo della Repubblica islamica dopo la rivoluzione del 1979 e l’abolizione della monarchia, in esilio in Francia dove è scappato nel 1981. L’appello di Mir-Hossein Mussavi, ai suoi sostenitori di non scendere in piazza, è «un errore, anche se mosso dalla legittima preoccupazione di far evitare pericoli gravi, perché significa accettare una sconfitta elettorale determinata dai brogli. Comunque ora l’iniziativa è del popolo, non dei candidati». Ma il cambiamento «ormai è in marcia, al di là di quello che decideranno i candidati sconfitti». «Finora anche l’iniziativa di Mussavi si situa all’interno del regime, in una sorta di guerra fra clan, protagonisti Khamenei e Rafsanjani. È guerra aperta all’interno di un regime che è molto indebolito».
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