Un musulmano accusato di blasfemia è stato assassinato ieri mattina a colpi di ascia da una guardia. L’ennesimo episodio di giustizia sommaria è avvenuto mentre l’uomo, Syed Tufail Haider, si trovava sotto custodia in un posto di polizia dell’area di Gujrat, nella provincia del Punjab. Il 45enne Haider era arrivato da tre giorni nella cittadina di Madina Syedan dalla sua città di Jhang per partecipare a un raduno islamico in occasione della festività religiosa sciita di Ashura. Aveva però dato segni di squilibrio e aveva iniziato a inveire contro i «compagni di Maometto». Fermato con l’accusa di blasfemia e messo in cella sicurezza, aveva avuto un acceso diverbio anche con un funzionario di polizia, il 36enne Faraz Naveed. L’argomento: sempre la disputa sui primi discepoli di Maometto. Poi è avvenuta l’esecuzione: alle 5 di ieri mattina il funzionario è entrato nella cella e lo ha ucciso a colpi di ascia. Le testimonianze dirette lasciano poco spazio ai dubbi sulle ragioni dell’esecuzione sommaria. Il fatto, poi, che la vittima apparisse, secondo quanti lo hanno incontrato come uno «squilibrato» e «simile a un predicatore itinerante», non ha giovato a discolpa del poliziotto omicida che è stato arrestato. Anche il primo ministro Nawaz Sharif ha ordinato che sia fatta piena luce su un atto criminale che conferma come quella di blasfemia sia diventata ormai un’accusa che equivale a una condanna a morte. Solo un mese fa, nel carcere di Rawalpindi, nella stessa provincia del Punjab, un cittadino britannico, anch’egli con problemi mentali e condannato a morte a gennaio per oltraggio alla fede islamica, era stato ferito gravemente a colpi di pistola da un secondino che gli aveva sparato. A istigarlo secondo un’indagine interna al carcere, un altro condannato a morte, Mumtaz Qadri, guardia del corpo del governatore della provincia, Salman Taseer, che tre anni fa è diventato il suo carnefice perché contrario alla posizione del politico a difesa di Asia Bibi. L’uccisione del detenuto per blasfemia si colloca in giornate di lutto e di reazione per i cristiani del Pakistan e in generale di protesta delle minoranze e dei musulmani moderati, dopo il linciaggio e il rogo di una coppia cristiana da parte di una folla inferocita aizzata da un mullah locale martedì scorso. I due, Shahzad Masih e la moglie Shama, erano stati accusati di aver dato alle fiamme una copia del Corano, atto considerato blasfemo: un’accusa per coprire la situazione di schiavitù nella quale era tenuta la coppia nella fabbrica di mattoni dove hanno trovato la morte. Intanto le autorità tentato almeno di salvarsi la faccia dopo le promesse di «giustizia» e i primi arresti di 44 persone coinvolte nel duplice omicidio. Il governo della provincia pachistana del Punjab ha deciso ieri di elargire un risarcimento alla famiglia della coppia arsa viva da una folla inferocita di 400 musulmani. Lo scrive
The Express Tribune. Durante una visita ai parenti dei due coniugi, il governatore del Punjab Shahbaz Sharif, fratello del premier Nawaz, ha promesso un indennizzo di 5 milioni di rupie (49mila dollari) e un appezzamento di terra. L’atroce morte dei coniugi cristiani ha sollevato nei media pachistani un’attenzione maggiore di quella abituale in simili casi di persecuzione. Il quotidiano
The Dawn, in un suo editoriale, è arrivato a chiedersi se il delitto non sarà «il punto di svolta di cui il Pakistan ha bisogno per fare cessare la violenza su chi è troppo debole per difendersi».