«La situazione in Siria sta peggiorando. Gli scontri sono dappertutto, non ci sono più zone “tranquille” per le persone inermi. Si contano oltre un milione e duecentomila sfollati interni e altri 500mila ai confini con Libano, Giordania, Turchia e in parte Iraq. E quattro o cinque milioni di persone hanno bisogno di assistenza medica». Inizia così l’angosciante “report” sulla situazione siriana di Kristalina Georgieva, commissario europeo per la Cooperazione internazionale, gli aiuti umanitari e la risposta alle crisi. In procinto di partire per i campi profughi in Giordania e Libano, il commissario Ue ieri ha fatto tappa a Roma per colloqui riservati col direttore esecutivo del Programma alimentare mondiale (Pam), Ertharin Causin, con il sottosegretario Onu per le emergenze, Valerie Amos, e con la direttrice generale per la cooperazione del ministero degli Esteri, Elisabetta Belloni. A loro ha rappresentato la gravissima situazione attuale: «In una nazione che aveva una qualità media di vita – spiega ad
Avvenire –, manca ogni cosa. Il problema più grave, da fuori, è rappresentato dall’altissimo numero di persone uccise. Ma accanto a quella tragedia ce ne sono altre».
Quali sono?C’è l’enorme difficoltà di curare i feriti: nelle aree di combattimento fra il 60 e l’80 per cento degli ospedali è stato distrutto. E il conflitto sta privando la popolazione di ogni sostegno: servizi medici, vaccini per bambini, cure per le donne in gravidanza, “it’s all gone”, non c’è più nulla. Perfino i medici (la sua voce s’incrina,
ndr) sono diventati bersaglio di armi da fuoco e vengono uccisi, mentre cresce la preoccupazione per nuove emergenze.
Di quale natura, commissario Georgieva?Aleppo era il cuore industriale ed economico della Siria. Le fabbriche di medicinali sono state distrutte, insieme a quelle che producevano sostanze per potabilizzare l’acqua, con rischio di epidemie. Il cibo per i bambini non si trova più e gli alimenti comuni, in un Paese che prima ne produceva, sono un lusso. Tutto ciò crea un’emergenza umanitaria spaventosa, con fattori di rischio e destabilizzazione per i Paesi vicini.
La commissione Ue ha stanziato finora 126 milioni di euro in aiuti umanitari, che toccano quota 310 milioni sommando quelli dei singoli Stati. Come sono impiegati?In generi alimentari, medicinali, tende, coperte, abiti. Ma portare aiuto è sempre più difficile. Per la prima volta, il numero di Ong presente nel Paese è sceso: ne rimangono otto. Non è solo un fatto di permessi, ogni zona è insicura. Ci sono problemi per raggiungere Deir Ezzor e ci sono volute tre settimane di negoziato per le autorizzazioni a poter spostare un solo convoglio fino a Homs e altri tre giorni di trattative coi comandi locali. E alla fine quando è entrato a Homs, gli hanno perfino sparato contro. Ma noi continuiamo a fare tutto ciò che è possibile...
Gli Usa hanno riconosciuto la Coalizione dell’opposizione quale rappresentante ufficiale del popolo siriano. Qual è la sua opinione?È materia dei ministri degli Esteri europei e intendo rispettarla. Ma dal punto di vista umanitario, ci batteremo per il rispetto del diritto umanitario. E chiediamo all’opposizione di adottare comportamenti diversi da quelli di Assad, di non colpire civili, né medici né convogli di aiuti, cose che purtroppo avvengono anche nelle aree controllate dagli oppositori.
Teme un dilagare del terrorismo?Il rischio esiste. Noi chiediamo che finisca la minaccia delle atrocità compiute da quelle frange radicali estremiste che non combattono per la libertà della Siria, ma per una loro violenta agenda: alcuni combattenti stanno compiendo azioni orribili e ciò deve cessare. E restiamo preoccupati per l’instabilità: più essa dura, più apre spazi agli estremisti. Non dobbiamo dimenticare la lezione della Somalia. E io sono stata da poco in Mali, dove il conflitto ha offerto chance enormi ai terroristi di Aqmi e Boko Haram. Quando una nazione si trasforma in uno “Stato fallito”, i pericoli non sono solo per i suoi abitanti, ma per l’intera comunità internazionale.