giovedì 2 dicembre 2010
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«Chiederò al ministro Frattini e al ministro Maroni di intervenire sul governo libico e su quello egiziano, per vedere se è possibile trovare una conclusione positiva a questa drammatica vicenda». Il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica, «da amico del popolo eritreo», assicura in questa intervista il suo impegno a favore degli ostaggi eritrei finiti in mano dei predoni. E afferma: «Credo che sia venuto il momento che il governo italiano chieda al Colonnello Gheddafi di riservare un trattamento diverso a quei profughi che vengono dall’Eritrea e che hanno diritto all’asilo politico».Sottosegretario Mantica, non le pare che ci sia a livello di governo ma anche di stampa italiana una sottovalutazione di quello che sta accadendo ai profughi eritrei?Sicuramente queste vicende non sono conosciute a sufficienza. Credo che occorra un’opera di sensibilizzazione, sia a livello di Parlamento che di opinione pubblica.La politica italiana dei respingimenti non è, in qualche modo, corresponsabile di queste tragedie?I respingimenti hanno sicuramente la loro dolorosa durezza, ma per gli eritrei hanno una importanza relativa. Il discorso è lungo e parte da lontano. Nella zona di Kassala, al nord del Sudan, ci sono campi profughi di eritrei, costituiti da 200-300mila persone che fuggono dal regime dittatoriale di Isaias Afewerki. E che si ritrovano nel deserto con scarsissime probabilità di sopravvivenza. Si tratta, in sostanza, di un decimo della popolazione eritrea, che fugge da condizioni di miseria e da una leva obbligatoria che li costringe alle armi e a servizi umilissimi fino a quarant’anni d’età. Da questi campi profughi, alcuni giovani cercano di arrivare in Europa (e specialmente in Italia) attraverso il deserto libico o l’Egitto, risalendo il Nilo. Tenendo presente che chi fugge dalla leva è considerato disertore e sarebbe sanzionato in modo pesantissimo se provasse a tornare in patria.E, dunque, cosa si può fare a livello internazionale?Credo che bisogna innanzitutto agire sul Colonnello Gheddafi, per due ragioni. La prima è che continua a sostenere il regime di Isaias Aferweki, cedendogli ad esempio petrolio a prezzo politico. E si badi bene che Isaias è stato duramente criticato anche a livello africano, per le condizioni in cui versa la popolazione eritrea e per il suo contributo all’instabilità del Corno d’Africa. La seconda è che i libici utilizzano molta mano d’opera eritrea per l’agricoltura, trattata in condizioni di semischiavitù. Credo, allora, che il governo italiano debba chiedere alla Libia di trattare i profughi eritrei in un modo particolare, tenuto conto della specificità della loro condizione.Il governo italiano si muoverà, allora?Quello che posso garantire, personalmente, è che lancerò un appello al ministro degli Esteri Frattini e a quello dell’Interno Maroni perché si muovano con il governo egiziano, con il quale c’è da sempre grande collaborazione, e con quello libico. Si tratta di compiere un urgente intervento umanitario, non di infrangere patti o trattati internazionali.
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