«Ho paura». La voce di Rimsha trema mentre il reporter della
Cnn la incalza con le domande. La 14enne cristiana, affetta da una grave forma di ritardo mentale, all’inizio si limita a dire «sì» o «no». Che arrivano al pubblico quasi a intermittenza attraverso il telefono con cui – da un luogo segreto – la ragazzina parla con la tv. Le pause sono lunghe, interrotte solo dal respiro. Poi, Rimsha afferma: «Ho paura che qualcuno possa far del male alla mia famiglia», aggiunge. La ragazzina si infervora solo quando le domandano se abbia realmente bruciato alcune pagine di un compendio del Corano. «No, no!», dice alzando il tono. E il padre – un povero imbianchino di nome Mizrah – aggiunge: «I cristiani rispettano il libro sacro dei musulmani». Rimsha non è riuscita, però, a spiegare con esattezza che cosa sia accaduto effettivamente lo scorso 16 agosto. Quando l’adolescente è stata arrestata con l’accusa di essere «blasfema». Da allora, la giovane ha trascorso 24 giorni in una cella del carcere di Adjala Jail, a Rawalpindi, città gemelle di Islamabad. Un’esperienza che l’ha segnata nel profondo. I pochi attivisti che le hanno fatto visita hanno trovato l’adolescente prostrata e addolorata per la lontanza dei genitori. Anche a causa del suo ritardo mentale, Rimsha ha fatto fatica a spiegarsi che cosa le stava accadendo. Si limitava a ripetere di non aver fatto nulla di male. Lo stesso che ha dichiarato ieri alla tv, nella prima intervista da quando è tornata libera su cauzione sabato scorso. A finire dietro le sbarre, invece, è stato il suo principale accusatore, l’imam della moschea di Mehrabad, il quartiere di Rimsha alle porte di Islamabad, Mohammed Khalid Chishti. Diversi testimoni hanno rivelato che il religioso avrebbe fabbricato ad arte le prove contro la ragazzina per attirare le ire degli islamici sui numerosi cristiani di Mehrabad e costringerli ad andar via. Un “favore” che gli amici legati alla mafia della speculazione edilizia – da sempre interessata a quei terreni – avrebbero ben ricompensato. L’inganno, però, è stato scoperto. E l’imam è finito in cella. Ora dovrà essere la corte penale di Islamabad ad appurare la verità sul caso. Che, ancora - nonostante la scarcerazione di Rimsha -, non è chiuso. Il tribunale ha concesso alla ragazzina di stare con la sua famiglia mentre l’iter giudiziario va avanti. «È innocente e deve essere prosciolta da ogni accusa», ha dichiarato ad
AsiaNews monsignor Rufin Anthony, vescovo di Islamabad. E ha aggiunto che il caso rappresenta «una pietra miliare» per discutere «le riforme necessarie alle leggi sulla blasfemia». La prossima udienza – secondo quando rivelato ad
Avvenire dal legale Tahir Naveed Chaudhary – è stata fissata per domani. Non sarà, però, necessaria la presenza in aula dell’adolescente, anche perché i rischi per la sua sicurezza sono alti. Un elicottero militare ha dovuto far uscire Rimsha dalla prigione e portarla al sicuro insieme alla famiglia. La ragazzina non sa quando e se potrà mai tornare nella sua casa a Mehrabad. Ma dice di non voler lasciare il Pakistan. «È il mio Paese, lo amo», dichiara all’emittente. Poi tace. In attesa capire che cosa deciderà il tribunale. E se le proteste dei fanatici islamici di placheranno. È un silenzio eloquente quello di Rimsha: esprime meglio di ogni parola l’ansia per un futuro quantomai incerto.