Il silenzio del governo dopo la strage. Un silenzio assordante per tutti, ma che non sorprende Emil Nona, l’arcivescovo caldeo di Mosul.
Possibile che neanche un’autorità locale vi abbia espresso solidarietà dopo una strage di queste dimensioni?Nessuno, almeno con me. Ma gli studenti colpiti sono quasi tutti siro-cattolici. Il sindaco di Mosul ha poi visitato l’ospedale di Qaraqosh, dove sono ricoverati gran parte dei feriti. Ma il problema non è il silenzio, vero o percepito come tale, delle autorità quanto il vuoto di potere: siamo senza un governo forte, in grado di intervenire, di assicurare i servizi e fare sentire la popolazione protetta. In questo momento sono tutti occupati a trattare per il governo, a cercare di occupare il potere mentre il Paese affonda inesorabilmente nei suoi soliti problemi.
Dopo gli omicidi mirati in campagna elettorale, ci sono state nuove minacce ai cristiani. Voi avete sempre parlato di terrorismo che colpisce tutti gli iracheni rifiutando la violenza religiosa. Ma dopo l’attacco di ieri, un nuovo passo verso l’escalation, si può parlare di pulizia etnica?È una questione politica più che religiosa, ma in Iraq avvengono cose ancora più terribili senza che nessuno si opponga. Purtroppo in questo Paese può succedere di tutto e le autorità ogni giorno dimostrano di non avere la forza necessaria per intervenire e imporsi.
Le promesse del governo e gli avvicendamenti al vertice delle forze dell’ordine non eliminano i sospetti sul loro operato. Che garanzie vi danno le forze dell’ordine?Cosa posso dire, i fatti sono chiari. L’attacco è avvenuto subito dopo un posto di blocco gestito insieme dagli americani e dall’esercito iracheno. Un chilometro più in là, all’ingresso di Mosul, vi è un posto di blocco della polizia. È una zona pericolosa, difficile da controllare e i 17 pullman viaggiavano tutti insieme in un lungo convoglio. Un errore che in passato avevamo segnalato alla polizia. La risposta è stata che bastava una macchina di pattuglia all’inizio e una alla fine della colonna. Le dichiarazioni e gli avvicendamenti? Noi qui non percepiamo nessun cambiamento concreto.
L’arcivescovo siro-cattolico George Casmoussa ha chiesto la protezione dell’Onu per i cristiani. Lei è d’accordo? Certamente i cristiani hanno bisogno di protezione, ma come fare? Ci sono cristiani in tutto l’Iraq: conosco, ad esempio, una famiglia caldea che vive da sola in un quartiere tutto musulmano. Come proteggerli? Una presenza internazionale? Questa c’è già dal 2003: quella dei soldati americani che non fa o non può fare nulla. Un intervento internazionale sarebbe percepito come un’intrusione straniera che servirebbe ad aizzare ulteriormente le bande estremiste contro i cristiani. La soluzione è politica: servizi, lavoro, infrastrutture, la presenza delle autorità e della polizia. Una pressione internazionale piuttosto va fatta sul governo per costringerlo a intervenire subito e in un modo finalmente efficace.