mercoledì 4 luglio 2012
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Il telefono squilla di continuo. Monsignor Ignatius Kaigama, arcivesco di Jos e presidente della Conferenza episcopale nigeriana, risponde in inglese, francese, anche in italiano. In molti vogliono congratularsi per il premio “Colomba d’oro per la pace” che oggi gli verrà conferito a Roma dall’Archivio disarmo. Il prestigioso riconoscimento, giunto alla ventottesima edizione grazie al contributo di Legacoop, viene assegnato a personalità internazionali che si sono distinte nell’impegno contro la violenza. Come monsignor Kaigama. Che da oltre dieci anni si batte per costruire «un’amicizia duratura e autentica» tra cristiani e musulmani della Nigeria. Un Paese martoriato dalla violenza dei fondamentalisti di Boko Haram. «Quando si è diffusa la notizia del premio, i primi a chiamarmi sono stati proprio gli amici musulmani... Volevano congratularsi e dirmi quanto è importare avanti per affermare la pace», dice l’arcivescovo, con voce squillante. Riesce a conservare buonumore e ottimismo, nonostante operi in uno degli Stati nigeriani più colpiti dalla violenza. Eppure questo combattivo pastore non perde slancio. «A volte mi sento stanco. È difficile combattere per la pace. Però basta qualche piccolo gesto a farmi tornare l’energia», afferma. Come la scelta di Ignatius Longjan, vice governatore dello Stato del Plateau, di accompagnare l’arcivescovo nel suo viaggio in Italia. «È stato un modo per dirmi: non sei solo, i nigeriani che vogliono la pace – di qualunque fede – sono con te».Eccellenza, lei è molto impegnato per il dialogo interreligioso. Dal 2011, ha anche realizzato un Centro di formazione professionale rivolto ai ragazzi, cristiani e musulmani. Come si fa a sconfiggere la violenza?Costruendo e coltivando l’amicizia fra le differenti comunità religiose. In particolare, a livello di vertici. In modo che questi ultimi, a loro volta, incoraggino i giovani a dialogare con i coetanei dell’altra fede. Solo un incontro autentico fra le persone può far crollare le barriere del pregiudizio, degli stereotipi, dell’intolleranza. Sono questi ultimi ad alimentare la violenza. Negli ultimi mesi, Boko Haram ha moltiplicato gli attacchi alle chiese. Domenica i fondamentalisti di al-Shabaab hanno colpito due edifici religiosi in Kenya. Qual è la strategia degli estremisti?Non conosco l’intento degli shabaab. Ma ho avuto modo di analizzare quello di Boko Haram. Questo gruppo è formato da una minoranza di musulmani integralisti che pretende di “purificare” l’islam. Pian piano, la setta ha sviluppato un interesse politico e ha cominciato ad attaccare edifici governativi, sedi istituzionali, giornali, tv, banche. Negli ultimi tempi, nel mirino sono finite soprattutto le chiese, e in particolare le chiese cattoliche. Per un motivo che ha poco a che vedere con la religione. Boko Haram sa che colpire gli edifici sacri significa provocare un forte impatto sull’opinione pubblica. Se attaccano una banca, pochi ne parlano. Quando devastano una chiesa la notizia rimbalza dentro e fuori il Paese con una velocità sorprendente. Non solo. Il gruppo cerca di fomentare il caos e accendere la miccia dell’odio religioso, esacerbando le tensioni tra le due comunità. I fedeli cristiani come reagiscono? Quando hanno attaccato la mia chiesa a Jos, le persone erano arrabbiate, esasperate, pronte a reagire. Sono dovuto intervenire per calmarli, ricordando che Gesù ci insegna a perdonare. Strage dopo strage, però, far passare questo messaggio di riconciliazione è sempre più difficile. A volte, qualcuno perde la pazienza e risponde alla violenza con altra violenza. La Chiesa condanna questi gesti, inutili e dannosi. Perché fanno il gioco degli estremisti. Il cui obiettivo è quello di scatenare una guerra religiosa.Il governo ha attuato delle contromisure dopo gli attacchi per sconfiggere i terroristi?Cerca di farlo, ma sembra non aver ancora trovato una corretta strategia. Boko Haram è un gruppo di pochi fanatici. È l’inerzia delle autorità a permettergli di continuare a causare morte e distruzione. L’esecutivo dovrebbe tentare di isolare il gruppo, impedendo di ricevere supporto logistico, armi, munizioni, denaro da altri alleati esterni o interni. Lo stesso presidente, Goodluck Jonathan, ha dichiarato pubblicamente che ci sono esponenti di Boko Haram all’interno del governo e nelle agenzie di sicurezza. Significa che sa chi sono. E allora ha il dovere morale di dare i nomi e di fermarli.

E la comunità internazionale può fare qualcosa per aiutare la Nigeria?Non solo può ma deve. Il terrorismo è un fenomeno globale. Ogni Paese ha maturato strategie per combatterlo. Lo scambio di dati ed esperienze, il flusso di informazioni, la consulenza di istruttori stranieri sono elementi fondamentali affinché le autorità nigeriane acquisiscano nuove competenze contro Boko Haram. L’Italia, in quest’ambito è molto attiva. Le vostre forze di sicurezza svolgono un programma di addestramento per gli agenti nigeriani.

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