mercoledì 15 aprile 2009
Il Paese, domani ai seggi per l’ultima tornata, è stretto fra i particolarismi e sembra aver smarrito gli ideali di sviluppo e non-violenza. Il bipolarismo fra i laici del Congresso e i nazionalisti del Bjp è spezzato dalla Terza Forza guidata da Naina Kumari Mayawati.
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La grande macchina elettorale india­na sta per arrivare al traguardo do­po un mese di campagna tesa e con­vulsa come può essere solo in un Paese di queste dimensioni, diviso amministrati­vamente in 35 Stati e Territori e fraziona­to in una miriade di etnie, fedi, interessi non sempre in armonia come Costituzio­ne e tradizione vorrebbero. Su tutto però, e mai come in queste ele­zioni, domina il futuro stesso della demo­crazia indiana, che pare smarrirsi tra par­ticolarismi, interesse, corruzione; di un Paese-continente, che sembra avere or­mai dimenticato i suoi ideali di sviluppo condiviso, nonviolenza e convivenza. «Le elezioni sono come il giorno del giu­dizio per i partiti politici, perché li co­stringe a porsi davanti agli elettori e a ren­dere conto della loro opera e dei loro mi­sfatti. Ancora una volta dopo cinque anni hanno dovuto cercare di attrar­re un elettorato di caste e fedi diver­se e ricomporre i loro interessi in con­flitto nel contesto della comples­sa realtà indiana». Come sottoli­nea Asghar Ali Engineer, intellet­tuale musulmano progressista, mai come in occasione delle elezioni che inizieranno domani l’India ri­compatta le sue divisioni per accen­tuare il ruolo della politica. Polarizzato per anni tra uno schiera­mento laicista guidato dal Partito del Congresso nazionale indiano (Congres­so, in breve), oggi sotto la presidenza di Sonia Gandhi, dopo avere rappresentato per decenni l’eredità della dinastia Gandhi-Nehru, e tra una compagine na­zionalista fautrice degli aspetti più discri­minatori e xenofobi dell’induismo – ma anche di un aspetto assistenziale marca­to utile a recuperare nel seno dell’indui­smo i “transfughi” cristiani, buddhisti, mu­sulmani – con al centro il Bharatiya Jana­ta Party (Partito del popolo indiano), oggi l’elettorato indiano ha livello centrale u­na nuova proposta da valutare. Nell’incontro di presentazione ufficiale della Terza Forza, lo scorso 12 marzo nel­lo Stato meridionale del Karnataka, il suo ideatore Dewe Gowda, esponente di peso del primo governo a guida non Congres­so del Paese nel 1988, ha indicato l’inizia­tiva come «occasione storica per unire tut­ti i partiti democratici, laicisti e della sini­stra nel Paese». A capo si è posta, con il pe­so della sua singolare esperienza, della sua popolarità e dei 120 milioni di elettori del­l’Uttar Pradesh di cui è primo ministro, la “regina degli intoccabili”, Naina Kumari Mayawati. Il suo è stato un aut-auto: o ca­polista nella carica di premier, oppure la sostanziale rinuncia al voto dei fuoricasta e di buona parte degli emarginati dell’In­dia. Finora, il Congresso al centro dell’Al­leanza progressista unita (218 seggi nella Camera uscente, di cui 145 del partito del­la Gandhi) al governo centrale in alleanza strategica con il Fronte delle sinistre (59 seggi) cui si contrappongono il Bjp e i suoi alleati nell’Alleanza democratica nazio­nale (181 seggi, di cui, 138 al Bjp), hanno cercato, con ovvie difficoltà, di media­re tra le loro origini e una realtà in e­voluzione. Quest’ultimo, in parti­colare, ha dovuto imparare a proprie spese che una propo­sta efficace non può essere basata esclusivamente sul nazionalismo a sfondo reli­gioso, rigettato dai possi­bili alleati. Mai come in questo voto, il Bjp sembra puntare la pro­pria proposta sui temi dello sviluppo e del­l’economia, ed è aperto il suo tentativo di raccogliere voti musulmani e cristiani, puntando, più che sul cavallo di battaglia della “induità”, ovvero dell’identità indù imposta su tutti, sull’“indianità”, ovvero sull’orgoglio nazionale. Per tutti, i giochi maggiori, tuttavia, si fa­ranno dopo le elezioni, facendo emerge­re accordi sottobanco o nuove inattese al­leanze, anche questo una costante della politica indiana. L’esperienza di governo oggi è più una maledizione che un’op­portunità della politica, dove sempre più sono gli outsider a godere di prospettive e favori dell’elettorato in grado di gestire in proprio il voto e non di cederlo per poche rupie al migliore offerente. Le ambizioni del Paese, come pure i suoi primi inciam­pi sulla strada di un benes­sere e di una ricchezza che sembravano a portata di mano, contri­buiscono a dare oggi una diversa unita­rietà di intenti e uno slancio che per mol­ti anni era venuto a mancare. C’è tuttavia, nell’insieme, una grande disillusione: l’In­dia oggi sembra essere un Paese non più in grado di sognare, di esprimere insieme una sola identità e universalità di propo­ste. La sua anima gandhiana va disperdendo­si come il destino della sua dinastia di ri­ferimento, quella Gandhi-Nehru. Oggi i rampolli sono su fronti contrapposti. Il fi­glio di Sonia, Rahul, punta sul tradiziona­le feudo di famiglia, la circoscrizione elet­torale di Amethi nell’Uttar Pradesh per rin­verdire le sorti politiche del Congresso e della famiglia; il cugino Varun, figlio di Ma­neka Gandhi, come Sonia nuora di Indi­ra, è fiore all’occhiello del Bjp a Pilibhit, nello stesso Stato. Sempre che inquirenti ed elettori gli diano la possibilità di rifar­si dal suo primo scivolone in carriera: du­re accuse contro i musulmani indiani du­rante un comizio che ne hanno messo a rischio carriera e fedina penale. Pochi scrupoli e molti colpi bassi. Anche questa è campagna elettorale, come – al­tro colpo all’eredità gandhiana – la vio­lenza. Ormai una costante della vita in di­versi Stati dell’India, ha avuto un cataliz­zatore nella prospettiva delle elezioni. Episodi come l’assalto di un centinaio di ribelli maoisti a una miniera di bauxite dell’Orissa che lunedì scorso ha lasciato 10 poliziotti e 4 guerriglieri uccisi, come pu­re il proclama dell’Hezbul Mujahedeen che ha minacciato di dare il via libera a 400 terroristi del Lashkar-e-Taiba infiltra­tisi dal Pakistan con l’obiettivo di colpire i seggi elettorali acquistano un’immensa visibilità in queste ore di attesa, preoccu­pazione e per molti, ancora, di speranza dell’India verso il voto.
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