venerdì 6 febbraio 2009
Sparite dalle mappe tutte le terre di proprietà della comunità. La presenza dei religiosi a Mor Gabriel risale a 1.600 anni fa. In difficoltà il premier Erdogan che per quest’anno aveva promesso leggi in difesa delle minoranze etniche e di culto.
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Sono lì da 1600 anni e adesso hanno paura di doversene andare. Succede nell’estremo est della Turchia, a maggioranza curda, in una parte del Paese che odora di Medio Oriente e dove una comunità di monaci appartenente alla Chiesa ortodosso-siriaca vede minacciata la sua possibilità di sopravvivenza. A decidere sarà il tribunale il prossimo 11 febbraio. Tutto è partito in gennaio, quando il governo turco ha dato ordine di ridisegnare i confini fra le varie amministrazioni comunali per aggiornare i registri nazionali. Ebbene, sembra che le terre appartenenti ai monaci da 16 secoli e dove sorge l’antico e celebre monastero di Mor Gabriel, siano state cancellate, spartite fra i villaggi che circondano la zona. E adesso la comunità ortodosso siriana ha paura che sarà costretta a lasciare quei luoghi dove vive da secoli. «Questa è la nostra terra – ha detto Kuryalos Ergun, presidente della Fondazione Mor Gabriel – abbiamo le nostre mappe e tutta la documentazione per attestare che queste terre ci appartengono». I monaci affermano che le terre circostanti il monastero sono state identificate nelle nuove carte come area boschiva pubblica e che se la magistratura darà ragione al governo per loro sarà arrivato il momento dello sfratto. Mor Gabriel è un centro di spiritualità dove 35 monaci vivono dividendosi fra preghiere e uno stile di vita spartano, recentemente restaurato grazie a fondi messi a disposizione dall’Unione europea, dal governo di Damasco e da uomini d’affari siriani. Ogni anno viene visitato da circa 100mila fedeli, provenienti soprattutto dalla diaspora siriaca in Germania e Svezia. Quelli rimasti in Turchia non sono più di 20mila. Rappresenta una delle comunità religiose più antiche presenti sul suolo turco. I rapporti con la cittadinanza sono sempre stati pacifici e i monaci hanno sempre condotto la loro vita serenamente, dicendo che le cancellate all’ingresso servivano più per proteggersi dagli animali che da eventuali gruppi di fanatici. Questa pace è stata interrotta l’agosto dello scorso anno, quando la magistratura ha aperto un altro processo. Tre sindaci della zona infatti avevano accusato i monaci di attività anti­turche, dicendo che stavano tentando di convertire illegalmente alcuni ragazzi alla fede cristiana. Alcuni abitanti del villaggio di Candarli, vicino al monastero, hanno accusato la comunità di portare via loro terre preziose per il pascolo del bestiame. I responsabili delle amministrazioni di Mardin e Midyat, vicino a dove si trova Mor Gabriel, non commentano e attendono le decisioni dei giudici. I monaci sono pronti a dare battaglia e la disputa rischia di avere serie conseguenze per il governo islamico-moderato di Recep Tayyip Erdogan. Proprio il premier turco, infatti, ha promesso per quest’anno nuove leggi e riforme che tutelino le minoranze etniche e religiose presenti in Turchia, troppo spesso vittime della violenza da parte di gruppi di ultra­nazionalisti. Il governo di Ankara negli ultimi anni ha compiuto alcuni passi positivi. È stata votata la legge sulle fondazioni religiose, che permetterà soprattutto ad ortodossi e armeni di tornare in possesso di proprietà che gli appartenevano prima del 1970 e soprattutto ha riconosciuto come giorni di festa lo Yom Kippur per gli ebrei e il Natale per i cristiani ortodossi, anche se il provvedimento ha lasciato fuori i cattolici perché non considerati comunità religiose “storiche” nel Paese. Il monastero di Mor Gabriel, con i suoi 16 secoli di storia e spiritualità, potrebbe rappresentare un’insidia pericolosa, che il premier per primo preferirebbe evitare, visto il rapporto negativo stilato da Bruxelles lo scorso dicembre e l’andamento a rilento dei negoziati di adesione. Suore all’interno del monastero di Mor Gabriel che sorge al confine turco con la Siria (Ap)
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