«Ho sentito gli spari ma non avrei mai pensato che fossero rivolti a mio figlio. Lui non c’entrava niente con le bande. E invece, quando sono uscita, l’ho visto lì, in un bagno di sangue». Non piange Reina Del Socorro, ha gli occhi asciutti e la voce dura mentre racconta ad
Avvenire l’omicidio del suo terzogenito Fabio Nelson, 29 anni, taxista della comuna 1 di Medellín. Molti nella zona dicono a mezza voce che i responsabili sono «loro, gli incappucciati». Gli stessi che di tanto in tanto annunciano con lettere sparse per il quartiere le “limpiezas”: mattanze di narcos rivali o piccoli criminali autonomi. Lo fanno – scrivono – per mantenere l’ordine.Un ordine fondato sul terrore. Gli incappucciati ricordano, per stile e retorica, i vecchi paramilitari, formalmente smobilitati. L’Onu, gli attivisti per i diritti umani e lo stesso governo colombiano preferiscono definirle “Bandas criminales emergentes” o Bacrim. Con 38 massacri commessi nel 2010 – secondo le Nazioni Unite – questi gruppi fanno rinascere lo spettro del paramilitarismo ovunque, dalle periferie di Bogotà alle montagne del Cauca. È però nello stillicidio delle “comunas” di Medellín – dove l’anno scorso ci sono stati oltre duemila morti ammazzati – che il fenomeno è più evidente.Qui, nel dedalo di strade non asfaltate e casupole mai terminate, crebbe tra gli anni Settanta e Ottanta Pablo Escobar. In tanti lo considerano ancora un benefattore. Poco importa se fu tra i più spietati «signori del narcotraffico», il creatore dell’efferato cartello di Medellín, che trasformò la città in un campo di battaglia, con seimila assassinii all’anno. Per i residenti, però, don Pablo è quello che ha illuminato il polveroso “spiazzo” di Granizal, perché i ragazzini potessero giocarvi a calcio anche la sera. O ha portato nei rubinetti delle baracche l’acqua corrente. Certo, il prezzo della sua “benevolenza” era altissimo. Fu Escobar a creare il primo gruppo paramilitare “ufficiale” della Colombia, il Mas (“Muerte a los Secuestradores”). L’obiettivo manifesto del gruppo era combattere la guerriglia. Il fine reale era, però, il controllo del territorio e delle remunerative “piazze della droga”. Nel Mas si formarono i fratelli Castaño, poi leader delle Auc (“Autodefensas Unidas del Colombia”), responsabili – secondo gli ultimissimi dati della Procura generale – di 173 mila omicidi e 1.597 massacri di civili.Otto anni fa, però, qualcosa a Medellín e nell’intera Colombia è sembrato cambiare. Nel 2003 cominciò il controverso “processo di smobilitazione” voluto dal governo dell’allora presidente Alvaro Uribe. In meno di tre anni, 31.671 paramilitari consegnarono le armi nell’ambito della legge “Justicia y Paz”. Questa garantiva l’immunità ai quadri minori e un massimo di otto anni di carcere ai comandanti, responsabili delle mattanze degli anni Novanta, sempre che confessassero e risarcissero le famiglie delle vittime. Dei 4.511 capi che lo hanno fatto, solo 3 sono stati finora condannati. Al di là degli evidenti limiti, la legge ha ottenuto il risultato di porre fine all’anarchia di vent’anni fa. A cominciare proprio da Medellín, dove il tasso di omicidi passò da 184 ogni 100mila abitanti nel 2002 a 28,6 nel 2007.L’illusione, però, non è durata a lungo. «Nel 2009 l’indice di omicidi è rischizzato verso l’alto con 86 delitti ogni 100mila abitanti – spiega ad Avvenire Nelly Osorno dell’Instituto Popular de Capacitación (Ipc). – Gli adolescenti sono i più colpiti. Negli ultimi due anni sono stati massacrati duemila ragazzi tra gli 11 e i 25 anni».Nel resto del Paese non va meglio. Secondo un recente rapporto dell’Alta commissione Onu per i diritti umani, nel 2010 le stragi di civili sarebbero state quasi il doppio rispetto all’anno precedente. A commetterle – dicono le Nazioni Unite – sono state le Bacrim, responsabili anche di innumerevoli casi di rapimenti, scomparse, minacce, abusi contro chi rifiuta di sottostare alla loro legge criminale. Come Severiano, catechista di 22 anni, «scomparso a Guapi, nel Cauca – denuncia padre Vicente Pellegrino, missionario della Consolata – o il sacerdote di El Altrato e le religiose di Murindó, nel Chocó, nel mirino per essersi rifiutati di pagare il “pizzo”» alle Bacrim. «Non è che la violenza sia tornata – racconta Elkyn Pérez, direttore dell’associazione d’ispirazione cattolica “Convivamos” – è che non è mai finita, si è solo nascosta per qualche anno. Ora è riesplosa per le ombre che hanno caratterizzato il processo di smobilitazione».A formare le Bacrim – una galassia di bande dai nomi pittoreschi: “Aquile Nere”, “Le stoppie”, “L’Esercito rivoluzionario anticomunista di Colombia”, “I maschi” – sono stati, infatti, i quadri paramilitari intermedi rimasti “disoccupati” dopo lo scioglimento delle Auc. Addestrati, armati e abituati alla violenza, questi sbandati hanno formato nuovi gruppi che conterebbero dai 4 ai 10mila uomini e agirebbero in almeno 24 dei 32 dipartimenti colombiani. La loro influenza è tale – ha denunciato il ministro della Giustizia, German Vargas Lleras – che potrebbero alterare i risultati delle amministrative di ottobre in 64 municipi.Come le Auc – e buona parte della guerriglia – la loro principale attività è il narcotraffico, abbinato ad ogni genere di commercio illecito: dalla tratta di donne alle estorsioni. A differenza dei vecchi paramilitari, le bande emergenti utilizzano meno l’ideologia per giustificare la loro sete di denaro. Tanto che in Nariño e in Cauca – segnala Human Rights Watch – “Le stoppie” hanno formato un’improbabile alleanza coi marxisti dell’Eln contro l’altro gruppo guerrigliero di sinistra, le Farc. Per questo, il governo sottolinea la discontinuità tra paramilitarismo e Bacrim, definite «comuni bande criminali». Al di là dei termini, comunque, queste ultime sono il «nuovo nemico», ha detto il presidente Juan Manuel Santos. Un altro incubo che si aggiunge ai già troppi di un Paese dilaniato da oltre 60 anni da una guerra mai dichiarata.