lunedì 8 settembre 2014
Ogni giorno, 17 ragazzini sono affidati ai servizi sociali perché i genitori sono stati espulsi. Sono gli «orfani» della legge migratoria che consente loro, poiché cittadini Usa, di restare.
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Cecia e Ronald non mancheranno. Ormai non sentono nemmeno più la stanchezza delle ore di bus tra Miami e Washington. Hanno fatto quella strada infinite volte per gridare al Congresso lo stesso messaggio: «Non spezzate le nostre famiglie». E domani la faranno di nuovo, a dispetto della decisione annunciata ieri dal presidente Barack Obama di rinviare a dopo le elezioni di midterm di novembre, l’attesa riforma dell’immigrazione: troppo rischioso per i democratici, già in bilico, varare la legge ora. Con loro, di fronte al Campidoglio e alla Casa Bianca, ci saranno centinaia di “orfani dell’immigrazione”. Quei bimbi, cioè, che hanno perso i genitori a causa delle leggi sulla cittadinanza. Loro ce l’hanno, perché nati negli Stati Uniti. Madre e padre, invece, sono migranti irregolari e, dunque, in perenne rischio di rimpatrio. Basta che li fermino per un controllo, anche senza aver commesso alcun delitto. Negli Usa ci sono 11 milioni di illegali, quasi tutti latinoamericani. Gli invisibili, li chiamano. Ancor più invisibile, però, è il dramma dei loro figli “regolari” , almeno cinque milioni di minori. Espulso uno o entrambi i genitori, i piccoli sono affidati ai servizi sociali, al ritmo di 17 casi al giorno. Cecia e Ronald sono stati più fortunati. Cinque anni fa, quando la loro mamma, Marisela, è stata fermata e rispedita in Nicaragua, hanno trovato Nora, la persona che ha organizzato l’ennesimo “incontro nazionale dei bambini contro le deportazioni”. Folti capelli neri, rossetto scarlatto, tacchi alti, Nora Sandigo dimostra molto meno dei suoi 48 anni. «L’attività mi tiene in forma», scherza con Avvenire. Il termine “attività” è riduttivo per la “mamma” di 949 bambini, tra 9 mesi e 17 anni. Tanti sono i figli di rimpatriati affidati alla sua tutela legale. La “gran madre”, l’hanno soprannominata alcuni. Lei preferisce definirsi «un cerotto». «Tampono un’emorragia ma non curo le ferite. I genitori irregolari non vogliono che i figli finiscano in un istituto. Allora mi contattano per affidarmi la patria potestà. In caso siano deportati, io divento il tutore. Non posso, però, tenerli con me né occuparmi di loro come meriterebbero. In genere, vivono con un parente o un amico stretto della famiglia e faccio da supervisore», spiega. Per la legge va bene. A meno che non ci siano denunce di abusi o maltrattamenti. La vigilanza di Nora ha impedito, finora, che ce ne fossero. «Ma non mi illudo di rimpiazzare i genitori. È necessario cambiare la legge. Come può essere giusta una normativa che porta tanti piccoli cittadini a crescere odiando il proprio Paese perché li ha resi orfani?» Da qui l’idea delle marce periodiche a Washington in cui Nora, i “suoi” ragazzi e altri attivisti, si ritrovano per chiedere la tanto attesa riforma migratoria. O almeno un ritorno alle misure pre 1996: fino ad allora, i genitori illegali di figli statunitensi potevano bloccare il rimpatrio. Un quarto degli oltre due milioni di espulsi dell’era Obama sarebbe, dunque, potuto restare.È tra un raduno e l’altro, però, che Nora svolge la parte più frenetica della sua attività. Visite mediche, colloqui scolastici, problemi di vitto e alloggio, il tutto moltiplicato 949. Ogni settimana, inoltre, organizza un pranzo per i piccoli a lei affidati che si trovano a Miami e dintorni. Agli altri spedisce pacchi dono. Tutti stanno in comunicazione continua con lei. «Perché lo faccio? Per amore. Sono cattolica e credo che non basti venerare Dio con le parole. Bisogna fare ciò che Gesù ci ha insegnato: servire gli altri, che sono fratelli e figli di Dio. Tanto più se l’altro è un bambino. Come si fa a restare indifferenti? Non ha idea di quanto soffrano. Cecia si è diplomata qualche mese fa, ma il giorno della cerimonia non era felice, le mancavano i genitori». Nora lo sa bene: a 17 anni ha lasciato Paese e famiglia a causa della guerra. Solo grazie all’aiuto di persone di buona volontà è diventata imprenditrice.Ora ha messo su una serie di case di riposo per anziani. Con i proventi, finanzia la sua attività di volontariato, iniziata nel 2009 quando l’amica Marisela le ha chiesto aiuto per Cecia e Ronald. Per portarla avanti, Sandigo ha creato un’associazione, la “American Fraternity”. «Ho “perso” i miei risparmi ma ho guadagnato una grande famiglia», afferma. Ogni bambino è una benedizione, si legge in un adesivo nella sua auto. «Io ho 949 benedizioni. Che cosa posso desiderare di più? In realtà, un sogno ce l’ho. Vorrei venire a Roma con i bimbi per incontrare papa Francesco».
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