Durante l’omelia, Abouna Masser Bahnam si sposta dal pulpito alla navata centrale. Passa dall’emozione del racconto della canonizzazione dei due Papi, a Roma, all’invito ai suoi fedeli a partecipare responsabilmente alle elezioni legislative di domani. «È una bella cosa avere due nuovi Papi Santi», dice. Poi, all’uscita della Messa domenicale, nella chiesa caldea di San Giorgio, area Radir in Baghdad Est, fa distribuire il poster celebrativo della successione dei patriarchi, con l’immagine dell’ultimo, Louis Raphael I Sako, reggente di Babilonia, in bella evidenza. Proprio Louis Raphael I, durante la plenaria della Congregazione delle chiese orientali a Roma, lo scorso novembre, ha sottolineato la condizione difficile in cui continuano a versare i cristiani nella regione. Dal 2003, secondo il Patriarcato caldeo di Babilonia, più di mille cristiani sono stati uccisi in Iraq, altri rapiti e rilasciati a prezzo di riscatto. Senza contare gli effetti della diaspora: nel 1987 la comunità dei cristiani iracheni includeva oltre un milione e 200mila fedeli; oggi sono meno della metà. Molti, già riparati in Siria, cercano di nuovo patria. I pochi rimasti a Baghdad fanno sentire la loro voce. «È necessario non solo per noi – dice padre Masser, da sei mesi parroco della chiesa e originario di Ninive, Nord dell’Iraq – ma per tutti gli iracheni. La nostra è una terra ecumenica e plurale: dobbiamo batterci per la nostra sopravvivenza e per rendere sempre ricca la nostra società come, del resto, è sempre stata». Queste elezioni parlamentari, le prime in assenza degli Stati Uniti sul territorio, sono una sfida importante: a preoccupare è il nodo della sicurezza. Gli attentati degli estremisti non cessano. La competizione, tuttavia, è anche un’occasione per ottenere più candidati per le minoranze, in rappresentanza della propria appartenenza etnica e confessionale. Per occupare i 328 seggi parlamentari a cui sarà affidato il compito di eleggere il presidente e il primo ministro, concorrono ben 9.011 candidati in tutto il Paese – tra cui oltre 2mila donne –, in rappresentanza di 250 gruppi politici, organizzati in 100 liste e 39 coalizioni di cui la favorita è la sciita “Stato di diritto” che ha come uomo di punta del partito l’attuale primo ministro Nouri al-Maliki. In questo quadro generale, l’elettorato sunnita è particolarmente scontento ed è stato invitato a boicottare le elezioni. Il che potrebbe influire sui risultati dei due partiti più vicini alla comunità, il Murrahedun e Arabiya. L’ex premier sunnita Iyyad Allawi ha voluto prendere le distanze da tutti i gruppi di ispirazione religiosa. Il suo schieramento è formato da laici. I cristiani, dal canto loro, si distribuiscono in quasi tutte le coalizioni, seguendo l’agenda politica della lista di appartenenza. Il Movimento degli assiri democratici ha diversi cristiani tra le proprie fila. Sargon Y Slivo, membro del partito, è stato finora il coordinatore del Media Center e Media Advisor del ministro dell’Ambiente, Sargoon Lazar Salio, assiro e nuovamente candidato. Dice: «Siamo un movimento che tiene moltissimo alla condizione dei cristiani perché sono discriminati come cittadini di serie b. Chiediamo, sulla base delle poltrone che riusciremo a conquistare in Parlamento, tre cose: la riattivazione di due articoli di legge che ci consentirebbero la piena parità sociale; la creazione di forze di sicurezza locali, nella regione di Ninive, per proteggerci da eventuali attacchi di altre etnie; ma soprattutto l’istituzione del governatorato di Ninive con la possibilità di accrescere gli investimenti edilizi e riconsegnare le case dei fedeli della diaspora alle loro famiglie, invitandoli a rientrare dalla Svezia o da dovunque essi si trovino». Per ora, non c’è ombra di preoccupazione su un possibile “effetto replica”, nell’antica terra di Abramo, dell’eterno contrasto israelo-palestinese sui Territori. «In Iraq ci sarebbe spazio per tutti», sottolinea Abouna Masser. Che aggiunge: «Basta mettere in minoranza i fanatici».