Due anni e mezzo di guerra in Ucraina ci hanno abituati ad avvicendamenti politici e militari, a purghe di graduati e a una strategia fluida. Non sorprendono così il rimpasto di metà del governo ucraino e le dimissioni di 6 ministri, avvenute in un momento difficile della guerra, che vede i russi accelerare nel Donetsk e gli ucraini faticosamente impegnati nel consolidare la mini-testa di ponte nel Kursk, pegno da riscattare in un eventuale tavolo di negoziati, invero improbabili prima che Oltreatlantico le elezioni presidenziali sciolgano i dubbi sulla Casa Bianca. Sebbene parallele, le offensive nel Donetsk e nel Kursk sono asimmetriche: la seconda ricorda una periferia marginale, non decisiva per le sorti russe. Solleva critiche e dubbi, anche contro il comandante in capo delle forze armate ucraine, Oleksander Syrskyi. È stato un azzardo? Un boomerang che si ritorcerà nel Donbass, come già sta avvenendo, e nell’escalation di attacchi missilistici contro i centri di gravità patri?
Nel Kursk, le prime due settimane successive al 6 agosto, parevano promettenti, con i battaglioni ucraini capaci di prendere 1.100 chilometri quadrati di territorio, abbinando abilità di manovra, guerra elettronica e droni. Ma negli ultimi 15 giorni, i guadagni sono stati magri: di 150 chilometri circa, equivalenti a un quadrato di 12 chilometri di lato. Ieri lo stallo è stato completo. Passata la sorpresa, l’esercito russo ha tamponato la falla e ha stemperato l’irruenza nemica. Non ha nemmeno rinunciato alle forze di prima linea, anche se Syrskyi stima che ci sia stato uno spostamento di 30mila soldati nemici dall’Ucraina al Kursk. Il grosso di quei 30mila proviene però da Kharkiv e dal Kursk stesso, oltre che dall’area di Kupyansk, Svatove, Kremnina e dalla regione di Zaporizhia, fronti non primari per Mosca, diversamente da quel Donetsk che pesa come un macigno sul futuro dell’Ucraina. «Se perdiamo Pokrovsk, l’intera linea del fronte crollerà», stima l’analista militare Mykhaylo Jyrokhov, citato dal portale Raids.
I russi sono a circa 7 chilometri da un importantissimo snodo logistico e avanzano pure a Toretsk e Vuhledar. Racconta l’Istituto per gli studi sulla guerra che agosto è stato un mese di successi per l’Armata rossa, avanzata in Ucraina di 477 chilometri quadrati, qualcosa che non si vedeva dall’ottobre di due anni fa. Quattro mesi fa, i russi rosicchiavano 2 chilometri quadrati al giorno, oggi sembrano più spediti. Fagocitano una media di 12-15 chilometri quadrati al giorno. Sono meglio coordinati o conta la distrazione ucraina del Kursk? Le progressioni russe non sono ancora dirompenti, lontane da quei 50 chilometri circa di spostamento quotidiano del fronte che significherebbero un dramma. E le cifre possono essere lette in molteplici modi: su 1.200 chilometri di fronte i 477 chilometri appena citati equivalgono a un quadrato di 21 chilometri di lato. È molto o è poco? Dipende: il Donbass è una delle aree più fortificate al mondo, dove la guerra di manovra è complicata. Eppure i russi sono prossimi ad abbattere la quarta linea difensiva ucraina. La battaglia di Pokrovsk si è fatta più rapida di quella di Bakhmut.
È un cattivo segno, dopo la perdita di Adviivka. Tradisce una spinta graduale verso le grandi città del Donetsk ucraino: Sloviansk e Kramatorsk, minacciate in futuro se cadesse Chasiv Yar. Qui gli ucraini, sfiniti, resistono, combattendo con meno proiettili dei russi: uno svantaggio comune a tutte le zone del fronte. Uomini e armi sembrano insufficienti per tutto e non si intravedono rimedi taumaturgici. Può sembrare paradossale: mentre Kiev porta la guerra in Russia, fatica a contrattaccare in patria. Calcola l’esperto Philippe Chapleau che, nei primi 8 mesi del 2024, è riuscita a riconquistare più terre ucraine di quante non ne abbia perdute solo per 8 giorni. E se mai arrivasse un tavolo di negoziati, il presidente russo, Vladimir Putin, vi si accomoderebbe con un’ipoteca sul 18% del territorio nemico, oltre metà del quale conquistato negli ultimi due anni e mezzo. Sarebbe disponibile a concessioni? Asseconderebbe quel desiderio di «pace giusta» del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky?