"Sono solidale con il popolo siriano, rifiuto la brutalità e gli omicidi che le autorità siriane stanno commettendo contro i siriani, perché il silenzio
significa esserne complici". Era il 2011 quando Kayla Mueller
aderì con un video alla campagna su youtube
Syrian sit-in in
favore del popolo siriano, lasciando percepire quella
determinazione che due anni dopo l'avrebbe portata in Turchia e
Siria ad aiutare gli altri. Volontaria per l'ong
Support to Life, 26 anni, originaria di Prescott in Arizona, Kayla fu rapita dai jihadisti in Siria
nell'agosto 2013, mentre tentava di rientrare in Turchia dopo
uno stop all'ospedale spagnolo di Medici senza frontiere di
Aleppo, insieme a un gruppo di altri cooperanti, che sarebbero
poi stati rilasciati. Il suo nome non era mai stato divulgato
dalle autorità americane per non mettere a rischio la sua
incolumità. È stato l'Is a diffonderlo il 6 febbraio
annunciando la morte di Kayla sotto le bombe giordane. Morte
confermata oggi dal presidente Barack Obama e dalla famiglia
Mueller. Solo pochi giorni fa il capo della Casa Bianca aveva
assicurato il massimo impegno per liberarla. Una foto della ragazza con alle spalle lo stendardo del Kiwanis Club di Prescott compare in un'intervista del 31 maggio 2013 del The Daily Courier, in cui racconta la sua esperienza nei campi profughi in Turchia. "Finchè avrò vita - diceva Kayla - non permetterò che questa sofferenza diventi qualcosa di normale, qualcosa che accettiamo e basta. È importante fermarsi
e capire quanto siamo privilegiati. E quindi cominciare ad
agire". Un altro articolo dello stesso giornale datato 2007
diceva di lei che era già attiva nella Coalizione Save Darfur.
La sua famiglia ha reso noto nei giorni scorsi che, dopo la
laurea nel 2009, andò come volontaria anche in India, Israele,
territori palestinesi e che studiò in Francia per un anno per
poter lavorare nei paesi francofoni dell'Africa.
Per la sua liberazione, l'Is aveva chiesto oltre sei
milioni di dollari, ma Washington ha sempre mantenuto ferma la
politica di non pagare il riscatto degli ostaggi, avvertendo
anche le famiglie e i parenti degli americani detenuti in Siria
o altrove che, se cedessero alle richieste dei terroristi,
potrebbero essere perseguiti penalmente.