Il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, vola in Asia dove
resterà per una settimana. Una missione delicatissima, il cui
obiettivo principale è rassicurare gli alleati che l'impegno
degli Stati Uniti nell'area non viene meno, nonostante tutta
l'attenzione sia rivolta in questa fase alla crisi in Ucraina. E
nonostante la politica estera della Casa Bianca nell'ultimo anno
e mezzo si sia concentrata soprattutto su Iran, Siria e Medio
Oriente.
Il presidente americano sarà in Giappone, Corea del Sud,
Malesia e Filippine. Non andrà a Pechino. Ma la presenza della Cina
rischia di farsi sentire pesantemente durante l'intera visita,
nel corso della quale l'annuncio più importante è atteso per
lunedì prossimo a Manila: un accordo grazie al quale il Paese
asiatico garantirà alle navi e agli aerei Usa un accesso alle
proprie basi militari senza precedenti negli ultimi 20 anni, da
quando gli Stati Uniti lasciarono la base di Subic Bay.
Si tratta di un'intesa in realtà modestà, come scrive il
New York Times, ma che rischia di scatenare la
reazione di Pechino, impegnata con le Filippine in una
disputa territoriale per il controllo delle Scarborough Shoal,
un gruppo di isolotti disabitati nel Mar della Cina Orientale.
Una situazione molto simile a quella che, nella stessa regione,
divide Pechino e Tokyo sull'arcipelago delle Senkaku.
Sono passate due settimane da quando il ministro della difesa
cinese, Chang Vanquan, ha detto chiaramente al capo del
Pentagono, Chuch Hagel, che su tali dispute Pechino non è
disposta ad accettare compromessi. Come sarà respinta
ogni iniziativa degli Usa di contenere gli interessi della
Cina nella regione del sudest asiatico: vedi la vendita di
armamenti a Taiwan piuttosto che le divisioni sulla Corea del
Nord.
Per questo Pechino guarda con sospetto al tour asiatico di
Obama, che sarà a Tokyo da domani a venerdì, a Seul da
venerdì a sabato, a Kuala Lampur da sabato a lunedì e infine a
Manila da lunedì a martedì. Sarà il primo presidente
americano in visita ufficiale in Giappone dal viaggio di Bill
Clinton nel 1996 e il primo in Malesia addirittura dai tempi di
Lyndon Johnson, nel 1966.
I dubbi che accompagnano il presidente Usa in Estremo Oriente
sono molti: fino a che punto spingersi con gli alleati senza
compromettere il tentativo di creare una "nuova era di relazioni
con Pechino" avviato col leader cinese Xi Jinping? Da qui anche
i sospetti degli alleati: quanto gli americani sono realmente
intenzionati e in grado di proteggerli dalle mire
espansionistiche cinesi? Anche perchè il precedente della
Crimea appare molto preoccupante. E che la leadership cinese
possa comportarsi come Vladimir Putin è più di un incubo, a
Washington come nelle capitali asiatiche.