«In Europa, il radicalismo jihadista può scatenare ancora conseguenze drammatiche come quelle che abbiamo appena visto a Tolosa, certo, ma statisticamente conosce pure un calo sensibile. Grazie alla crescente integrazione dei musulmani di seconda generazione, esso diventa sempre più la somma di casi d’individui isolati». Tiene a lanciare un messaggio di speranza il politologo Olivier Roy, fra i maggiori conoscitori mondiali di al-Qaeda e dei rapporti fra islam e politica, oggi direttore del Programma mediterraneo all’Istituto universitario europeo di Firenze.
Professore, si può parlare di stragi inedite?Gli attacchi contro i soldati francesi presentano certi caratteri inediti, mentre non è il caso per l’assalto contro la scuola israelita, né per il fenomeno della radicalizzazione di giovani musulmani di seconda generazione.
Un tempo, il killer voleva entrare nell’esercito. Un dettaglio significativo?Forse. Nella grande maggioranza dei casi, il rapporto dei giovani musulmani di seconda generazione con l’esercito non è più conflittuale. I musulmani sono presenti in gran numero fra i soldati francesi, per varie ragioni generazionali e sociologiche. Questo dramma ci ha ricordato anche quest’aspetto, se si guardano le vittime. Il punto, comunque, è che il killer si è recato in Afghanistan ed è lì che ha costruito un suo rapporto nuovo con l’esercito francese.
Questa seconda generazione resta un potenziale terreno di coltura di derive jihadiste?Sì, ed è ormai da vent’anni che si osserva questo fenomeno. È una radicalizzazione divenuta strutturale, cioè non più legata a singoli eventi d’attualità. Attraverso molti indizi, si può tuttavia legittimamente ritenere che in Paesi come la Francia il fenomeno è in calo.
In Europa, queste derive hanno un ancoraggio sociale profondo?No, perché riguardano generalmente giovani isolati che non partecipano necessariamente ai riti religiosi musulmani, alla vita associativa, alle istituzioni. Sono spesso dei disoccupati ai margini. Si auto-radicalizzano in genere proprio recandosi in Paesi come l’Afghanistan o il Pakistan.
Alla luce anche del massacro antisemita di lunedì, quanto pesa oggi su questa seconda generazione europea l’eco del conflitto israelo-palestinese?Questo giovane ha raggiunto o tentato di raggiungere al-Qaeda, che è un’organizzazione globale jihadista che ha Israele fra i suoi bersagli. Non si è radicalizzato nel quadro specifico del dibattito francese sul conflitto israelo-palestinese. Esistono oggi dei giovani che si radicalizzano in chiave anti-israeliana in tanti Paesi, a prescindere dall’evoluzione del dibattito. Ma a quanto pare, non c’è una stretta correlazione fra i termini del dibattito su Israele e il numero di attentati antisemiti.
In Francia, comunque, molti denunciano una certa banalizzazione degli insulti razzisti e antisemiti... È proprio così, ma attenzione a non mettere troppo in fretta in relazione le azioni abominevoli di quest’individuo con certe tendenze più generali della società. Il punto, oggi, resta il fascino che al-Qaeda ha esercitato su di lui, un singolo individuo. E per comprendere questo fascino, occorre uscire dal contesto strettamente francese o europeo.