Quando scrisse L’arte della guerra, Sun Tzu riservò un intero capitolo all’encomio dello spionaggio. Mancavano 300 anni alla nascita di Cristo e l’elite cinese mostrò di aver ben chiari i vantaggi tattico strategici di una seria intelligence. Il dominio mongolo non fece che sublimare le idee di sorpresa, mobilità e astuzia, già professate dal filosofo del IV secolo. Il Paese le assimilò talmente che la Costituzione autoritario- repubblicana del 1982 non poté fare a meno di elevare implicitamente lo spionaggio a dovere civico (artt. 53-54). Tuttora vigente, la Carta dell’ 82 esorta il popolo a preservare i segreti dello Stato (e a supportare gli organi dell’intelligence nazionale). L’apparato spionistico è estremamente ramificato, con appendici che arrivano al singolo, attraverso una catena di controllo policentrica e pervasiva, dominata all’apice dal Comitato centrale del Partito comunista. Che si tratti del ministero per la Sicurezza nazionale, del dicastero di Pubblica sicurezza, del portafoglio dell’Industria informatica o dei servizi militari, la direzione e il coordinamento degli 007 spettano al Partito o, meglio, al Comitato centrale per la gestione globale della sicurezza sociale, sua emanazione. Invero lo stesso Partito comunista è monocratico e verticistico solo in apparenza. Le fazioni interne si disputano il potere divise in clan contrapposti. Dispongono di apparati collaterali d’intelligence, di cui è spesso difficile discernere i componenti e l’articolazione periferica. Ma una cosa è certa: ad ogni livello, il compito informativo è svolto con spregiudicatezza ed estrema efficienza, soprattutto se siano in gioco gli interessi nazionali e la proiezione esterna del Paese. Interrogato sul tema, il ministro per la Sicurezza nazionale ha confermato un sospetto diffuso: le spie cinesi all’estero sono decine di migliaia. Secondo l’intelligence americana, la sola rete del Dicastero avrebbe nodi in almeno 50-60 Paesi e agenti sotto copertura in banche, compagnie logistiche e commercia-li, aziende hi-tech, ambasciate, università e media ( Xinhua e altri). Dall’Mi- 5 inglese al Bfv tedesco, dall’Scrs canadese all’Fbi, i servizi occidentali, che pure sono assai attivi nell’intelligence economica e non senza 'macchia', concordano nell’imputare alla Cina il primato nei reati di spionaggio industriale. Dagli anni 50 del ’900, la nomenclatura al potere va forgiando una scuola elitaria d’intelligence economica, sintesi del pensiero strategico autoctono e del più avanzato savoir faire statunitense. All’Accademia delle Scienze di Pechino, fucina di esperti e spie, è usuale imbattersi nei migliori ingegneri informatici ed elettronici, cresciuti col mito del potere 'imperiale', che si fa grande e aspira a competere in tutti i segmenti produttivi. L’ottima base industriale e l’aggressività dei servizi civilimilitari fanno della Cina un concorrente temibile, impareggiabile nell’arte della reingegnerizzazione. L’intelligence nazionale sa discriminare gli obiettivi: dalla rivoluzione dottrinaria delle armi da fuoco alla guerra fra insiemi di reti, è sempre stata affascinata dalle innovazioni militari dell’Occidente. Quanto successo nelle prime fasi delle operazioni Enduring Freedom e Iraqi Freedom non è passato inosservato ai suoi analisti. Mai come oggi i sistemi d’arma integrano saperi polidisciplinari e duali: informatica, meccanica quantistica, fisica relativistica, chimica organica e inorganica, dinamica ed elettrodinamica. Le aziende straniere hi-tech sono costantemente monitorate dall’esercito popolare, che non esita a servirsi di Internet per sottrarre informazioni confidenziali. Emuli del Kgb sovietico, gli 007 cinesi son riusciti a corrompere funzionari statunitensi dell’Aeronautica, del Pentagono e della Boeing. Di più: hanno ottenuto informazioni top-secret sulla tecnologia spaziale, progetti di vettori strategici e da crociera, know-how per la visione notturna, sensori radar e apparati di comunicazione, codici sorgente e sistemi duali. Molti cinesi che si recano all’estero sono spie potenziale. Dottorandi, funzionari governativi, addetti militari, rappresentanti diplomatici e commerciali sono 'indottrinati' prima della partenza. Alcuni seguono corsi ad hoc. A tutti è richiesto un contributo informativo. Nell’occidente europeo, gli 007 cinesi hanno fatto del Belgio la centrale operativa e del centro-nord del continente una riserva di caccia. Oltreatlantico, il Canada e gli Stati Uniti non sfuggono all’occhio vigile del grande fratello cinese. Bombardier e altre industrie strategiche canadesi hanno subito innumerevoli incursioni elettroniche. Per alcuni parlamentari, i furti tecnologici costerebbero al Paese 1 milione di dollari il mese. Se trent’anni fa, l’80% del valore aziendale originava dagli immobili e dai macchinari, una percentuale analoga spetta oggi ai capitali intangibili: formule, progetti, istruzioni e forza lavoro altamente qualificata. In Giappone e in Germania, gli istituti di credito accettano i brevetti come garanzie fideiussorie. Gruppi come Ibm, Microsoft o Thomson ne hanno in portafoglio decine di migliaia, in gran parte saperi digitali. È in questo scenario che opera l’intelligence cinese. Penetrando nella casa californiana di Chi Mak, l’Fbi ha scoperto che l’insospettabile ingegnere elettrico conservava documenti riservati sul sistema antiaereo Aegis, sui propulsori dei sommergibili Virginia e sulle armi difensive della portaerei Stennis. Si è saputo poco dopo che i dati più sensibili avevano già attraversato il Pacifico. Oggi Mak ha scontato il primo anno e mezzo di carcere. Gliene rimangono altri 23. Nel frattempo, la giustizia federale ha continuato a macinare processi. Il prossimo riguarderà il caso Dongfan Chung, ex ingegnere alla Rockwell e alla Boeing. Pendono sulla sua testa molteplici capi d’accusa: dallo spionaggio industriale alla falsa testimonianza. Ne sapremo di più il 9 novembre 2009, giorno della sentenza. Bastino per ora i documenti sensibili sequestratigli a centinaia, alcuni sullo Shuttle, altri sul bombardiere B-1 e molti altri ancora sui programmi aerospaziali a stelle e strisce.