Una protesta a Vienna, inscenata davanti alla cattedrale di Santo Stefano, per denunciare i presunti stupri sulle donne ucraine compiuti dai soldati russi che hanno invaso il Paese - Ansa
La guerra combattuta sul corpo delle bambine, delle ragazze e delle donne ucraine, vittime sempre più numerose della violenza sessuale dei militari russi, non si combatte con le armi spuntate. È quello che la yazida irachena Nadia Murad, 29 anni, premio Nobel per la Pace nel 2018, è andata a spiegare al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. L’attivista, sopravvissuta nel 2014 agli stupri seriali dei guerriglieri del Daesh, ha illustrato alla comunità internazionale come lei, che di quegli abusi ha ancora le cicatrici, farebbe. Il «codice Murad» portato al Palazzo di Vetro di New York è una sorta di manuale, realizzato con il supporto del governo britannico, che fornisce istruzioni dettagliate su come investigare i dettagli dell’orrore sfumando, se possibile, il dolore delle ferite. «Il mio cuore è vicino alle donne ucraine che stanno vivendo la brutalità della violenza sessuale come arma di guerra. Anche se il conflitto finirà – ha sottolineato – il trauma resterà ».
Più di tante parole, ha aggiunto, «è di giustizia che avranno bisogno». L’accanimento sul corpo delle donne del nemico è da sempre atroce espressione dell’odio che alimenta i conflitti. Le convenzioni di Ginevra classificano non a caso la violenza sessuale e la riduzione in schiavitù non solo tra i «crimini di guerra» ma anche tra i reati «contro l’umanità ». Gravi perché mortificano in modo permanente il corpo e l’anima, calpestano la dignità, aggravano l’umiliazione. I processi tentati per consegnare alla giustizia chi li ordina e li esegue sono però relativamente nuovi.
Nella trascrizione in 46 volumi delle udienze tenute a Norimberga dopo la Seconda guerra mondiale, per esempio, le parole «donna » e «stupro» non compaiono neppure una volta. I primi casi a fare giurisprudenza sono stati, negli anni ’90, quelli emersi durante i procedimenti condotti dai Tribunali speciali dell’Onu sul conflitto nei Balcani e sul genocidio in Ruanda. Fare in modo che la voce delle superstiti arrivi nelle aule dei tribunali a rompere quello che è stato definito il «più grande silenzio della storia» è importante non solo per fare giustizia ma per dimostrare al mondo che, oggi, chi sbaglia paga. «È solo così – ha spiegato l’attivista – che la violenza sessuale in situazioni di conflitto può anche essere prevenuta».
La «memoria» del popolo yazida Nadia Murad Basee, 29 anni, è attivista per i diritti umani irachena di religione yazida. Nell’agosto del 2014 è stata rapita e tenuta in ostaggio da parte dello Stato Islamico (Daesh). Dal 2016 è ambasciatrice Onu e nel 2018 ha ricevuto, assieme a Denis Mukwege, il premio Nobel per la pace a Oslo - .
Il «codice Murad» è un’antologia di buone pratiche suggerite a operatori umanitari e giornalisti, testimoni non protagonisti dei conflitti, per accogliere il racconto delle donne violentate, delle loro famiglie e delle loro comunità, carpendone i dettagli rilevanti ai fini penali e proteggendone la fragilità emotiva. È il frutto di un lavoro, finanziato dal governo britannico e svolto con la collaborazione dell’Istituto per le indagini criminali internazionali, che ha coinvolto 72 sopravvissuti, tra i 25 e 72 anni, provenienti da 17 zone di conflitto come Bosnia ed Erzegovina, Burundi, Repubblica Democratica del Congo, Iraq, Liberia, Nepal, Uganda, Venezuela e Ucraina.
Vittime non solo di stupri ma anche di prostituzione, mutilazioni, gravidanze, aborti e sterilizzazioni forzate. Ampio è lo spettro della violenza sulle donne in contesto di guerra: un’arma potente che non costa nulla. A raccontare fin dove può arrivare è la storia, segnalata da Lyudmyla Denisova, difensore civico ucraino per i diritti umani, di 25 ragazze ucraine di età compresa tra 14 e 24 anni che per giorni sono state stuprate dai soldati russi in uno scantinato di Bucha. Nove di loro sono rimaste incinte. Cosa ne sarà di loro e dei bambini che partoriranno? Il «codice Murad» insegna che non tutte le domande avranno mai una risposta. Quelle da privilegiare, poi, sono solo quelle da cui dipende la circoscrizione del reato e la conseguente richiesta di giustizia.