Un inquietante poster di Bashar al-Assad in Siria - Reuters
Si sentiva preso di mira perché era cristiano. Poi Elias ha scoperto che lo stesso trattamento di botte e minacce era stato riservato anche ad altri piccoli imprenditori di Deir ez-Zor, città orientale della Siria parzialmente occupata nel 2012 dalle allora milizie di Jabhat al-Nusra (ora Jabhat Tahrir al-Sham), legate ad al-Qaeda. Dopo l’irruzione nel suo locale da parte di un gruppo di uomini armati, Elias (il nome è di fantasia) è fuggito con la moglie perdendo il suo negozio e le sue proprietà in Siria: casa, terreni, attività commerciale e ricordi di una vita. Trovato asilo politico in Olanda, Elias ha deciso di intraprendere una battaglia, non semplice, per chiedere il risarcimento dei danni morali ed economici subiti dai miliziani. Ma invece di denunciare il gruppo jihadista, i cui membri spesso usano solo nomi di battaglia, la causa, è stata fatta alla Doha Bank e a due fratelli siro- qatarini, Moutaz e Ramez al-Khayyat per aver passato ingenti somme di denaro agli uomini di al-Nusra in diverse da- te dal 2012 al 2017.
L’idea, di intentare una causa civile e non penale, è venuta ad uno studio legale di Londra, Richard Slade and Company, che insieme ad un team di avvocati ha raccolto le prove dei finanziamenti avvenuti tramite i conti bancari dei due fratelli siriani che vivono in Qatar, dove lavorano nel settore dell’edilizia ed hanno un giro d’affari milionario. Insomma, l’antica regola del «segui il denaro». Secondo le prove raccolte dai legali delle vittime, la Doha Bank sarebbe stata al corrente dello scopo dei trasferimenti di denaro che avvenivano sui conti bancari dei due fratelli, che poi ritiravano il contante in Turchia per portarlo (a volte anche personalmente) in Siria dentro delle valigette. «Tale azione – spiega l’esperto di diritto internazionale David Crane, fondatore del Syrian accountability project che ha collaborato con Richard Slade – contravviene tutte le leggi internazionali in materia di lotta al terrorismo e riciclaggio». Il “Caso di Elias” insieme a quello di altri sette richiedenti asilo siriani fa parte di una causa depositata all’Alta Corte di Londra, dove la Doha Bank ha una sede legale, nel luglio del 2019. Ma visto l’ampio raggio d’azione di Jabhat al-Nusra, gli avvocati hanno raccolto più vittime tramite una piattaforma online e 330 di queste sono state ritenute idonee. Si tratta di siriani residenti per lo più in Svezia, Germania e Regno Unito, che hanno potuto dimostrare le lesioni gravi subite sul piano fisico, economico e psicologico da parte di al-Nusra. La Doha Bank ha risposto per via del suo rappresentante legale nel Regno Unito, Richard Whiting, che le prove raccolte contro l’istituto di credito sono deboli e che il tribunale competente per il dibattimento, semmai il processo dovesse iniziare, sarebbe comunque in Qatar.
La speranza per le vittime è quella di creare un concreto imbarazzo da parte delle autorità qatariote che potrebbero decidere di stanziare un fondo per il risarcimento delle vittime prima ancora che il processo abbia inizio. Speranze di vedere soldi ce ne sono invece molte meno sul lato delle vittime del regime, ma la richiesta di giustizia è piena di valore storico e simbolico. È il caso di sette siriani in Germania, quattro donne e tre uomini che hanno subito abusi sessuali nelle carceri del regime siriano e per questo hanno presentato una denuncia penale alla Procura federale tedesca, grazie al sostegno legale del Centro europeo per i diritti umani e costituzionali (Ecchr). Nella denuncia le vittime dichiarano di «avere sùbito o assistito a varie forme di violenza sessuale tra cui lo stupro, mo-lestie sessuali, scosse elettriche ai genitali, nudità forzata e aborto forzato». La denuncia accusa nove alti funzionari dell’Air Force Intelligence Service siriano di crimini contro l’umanità, incluso il suo ex capo, Jamil Hassan, su cui pende già un mandato d’arresto della Corte di giustizia federale tedesca spiccato nel 2017 in un processo intentato da 24 ex detenuti torturati sistematicamente, come provato dalle foto del “Caesar report”. Il principio su cui si basano questi processi è quello della “giurisdizione universale” e i tempi per la giustizia potrebbero essere lunghissimi, ma i siriani sono persone che sanno aspettare e sperare.